Mattarella e i rischi della forzatura costituzionale – DAL BLOG
Qualcuno dice che non si devono alzare i toni dello scontro; saremmo pure d’accordo. Sottolineando però che un Presidente della Repubblica che rifiuta un ministro (e di fatto un intero governo) non perché privo dei requisiti giuridici, ma solamente perché ha idee politiche differenti è un atto piuttosto violento, non propriamente democratico. Ne stiamo già pagando le conseguenze, a livello di polarizzazione, di conflitto, di insulti tra persone. Le incomprensioni aumentano; tuttavia notiamo con piacere che in molti si stanno appassionando al dibattito attorno la dottrina costituzionale, imparando a districarsi tra i verbali dell’Assemblea Costituente e i manuali dei corsi universitari.
Mattarella, era proprio necessario?
Ad ogni modo sarebbe da chiedere al Presidente Mattarella se a suo avviso era proprio necessario forzare a tal punto il testo costituzionale, seguendo un’interpretazione estensiva dell’Art. 92 proposta da una minoranza di giuristi. In particolare, si tratta dell’opinione della scuola che preferisce constatare la prassi di un interventismo sempre più attivo degli ultimi Presidenti della Repubblica e dei Governi; questo va a scapito del parlamentarismo costituzionale, progressivamente svuotato con il ricorso sistematico a voti di fiducia, decretazione omnibus d’urgenza, “ghigliottine”. Insomma: per una volta che avevamo una maggioranza, con un programma e una lista di ministri, perché perpetuare ancora una prassi da stato d’eccezione? Forse perché – sospettiamo noi – lo stato d’eccezione permanente è la scusa che hanno sempre adottato i regimi autoritari per intervenire al di fuori della sovranità popolare.
Quale economia?
Anche sull’economia Mattarella non se la cava meglio. La scusa che fermare una persona con idee diverse in politica economica sarebbe necessario per garantire il diritto costituzionale della “tutela dei risparmi” – formulazione assai vaga, che non va mai piegata a senso unico, proprio perché i Padri Costituenti volevano renderla compatibile con visioni economiche differenti – è una stupidaggine basata su pseudo teorie economiche assunte a dogma. Soprattutto perché nell’ultimo ventennio i risparmi delle famiglie italiane si sono ridotti progressivamente dal 16% del reddito disponibile (1996) al 2% di oggi; in pochi se ne sono interessati, ma non è di certo lo “spread” il motivo principale di siffatto crollo.
Se diventasse prassi consolidata quella che abbiamo visto nei giorni scorsi, con la medesima scusa un Presidente che la pensi come noi si sentirebbe in dovere di bloccare qualsiasi ministro che volesse le privatizzazioni, in nome della tutela del patrimonio storico e artistico, o del diritto alla salute. E perché allora non si è fermata Elsa Fornero con la scusa della tutela delle pensioni? E così via, con interpretazioni sempre più assurde ed arbitrarie, e sempre meno da arbitro.
Non vi erano ragioni oggettive per tale forzatura
Semplicemente, si tratta di una lettura partitaria, politica, partigiana – ma esattamente dalla parte opposta ai partigiani che hanno fondato la nostra Repubblica – che “sfugge alle prerogative presidenziali”, come osserva l’autorevole costituzionalista Lorenza Carlassare: “Il diniego sul nome di un ministro può esserci per incompatibilità col ruolo, per conflitto d’interessi o indegnità causata, per esempio, da condanne penali, dunque solo per ragioni oggettive”. I precedenti casi di rifiuto, che in questi giorni sono stati riesumati, riguardavano proprio tali ragioni oggettive.
La forzatura è doppia: in primo luogo il nesso causale fra la nomina di Savona e il pericolo per i risparmi non è per nulla evidente; in secondo luogo – e di conseguenza – il veto di natura esplicitamente politica non ha alcuna giustificazione.
Tale doppia forzatura deve essere evidenziata, analizzata e condannata, evitando che diventi prassi consolidata, giustificata e accettata dal senso comune. Non ci si può passare sopra come se nulla fosse; non deve costituire un grave precedente al quale qualsiasi Presidente della Repubblica futuro potrebbe appellarsi. A meno che non si decida di cambiare la Costituzione, secondo la procedura prevista, e si preveda la sua elezioni diretta. Ma ci chiediamo cosa abbia di sbagliato la Costituzione attuale nell’interpretazione parlamentarista dei Padri costituenti; proprio Mattarella l’ha sempre insegnata, richiamandosi alla scuola democristiana di Aldo Moro.
Impuntarsi su Savona?
Sono facilmente prevedibili le critiche alla decisone dei gialloverdi di insistere su Savona, accusati di una strategia occulta per far saltare tutto: possibile, condivisibile, giusto? È evidente che sia nella Lega sia nel M5S non c’è troppo entusiasmo nel governare insieme e qualcuno preferisce tornare a votare subito, con il vento in poppa e senza sporcarsi le mani in un’alleanza indigesta. È altrettanto evidente che, se è vero che le motivazioni su Savona non riguardavano la sua specifica persona ma le sue idee – o meglio, il timore che la sua proposta di un “piano B” per l’uscita dall’euro (poi esclusa dallo stesso Savona) spaventasse i mercati – Mattarella avrebbe escluso con la medesima scusa qualsivoglia economista “euroscettico” come Borghi, Bagnai, Galloni, Sapelli, e così via. Perciò sarebbe stato inutile proporre altri nomi.
Mattarella infatti stava introducendo una sorta di vincolo di mandato sulla lettera del contratto sottoscritto dalle due forze politiche, nel quale non era esplicitata l’ipotesi di ritorno ad una valuta nazionale per l’Italia. Eppure non veniva menzionata proprio per non spaventare e per evitare speculazioni – proprio per “tutelare i risparmi” – ma implicitamente era presa in considerazione, altrimenti gli economisti antieuro di certo non avrebbero appoggiato il governo.
In questa fase il dato importante da commentare è la forzatura anti-democratica di Mattarella, affronto irrobustito dall’incarico affidato a Cottarelli, l’“anti-Savona”; ma se i governi passano, il principio democratico e la Costituzione di impianto parlamentarista dovrebbero restare.
Uno scivolone politico
Per concludere, un dato politico: ricorrere a questi mezzi per contrastare il “populismo sovranista” è evidentemente un passo falso, un palese autogoal, un boomerang; lo spiegava persino D’Alema: “Se torniamo a elezioni per il veto a Savona quelli pigliano l’80%”. Insomma, lo ha voluto anche Mattarella, lo scontro; avrebbe dovuto dimostrare la propria superiorità rispetto alle parti accettando Savona, che aveva tutte le qualità per svolgere con disciplina e onore il ruolo. Solo successivamente gli avrebbe potuto fermare eventuali singoli provvedimenti che fossero incostituzionali. Invece Mattarella è sceso al livello di Salvini, agendo come un leader politico qualsiasi e non da Presidente della Repubblica, ligio difensore della Costituzione e della centralità del Parlamento come si presentava. La custodia dell’unità nazionale passa in secondo piano; le tensioni aumentano.
Quel veto che alimenta il populismo
Trincerandosi a difesa dei mercati, contro due forze politiche distanti – dopo un difficile percorso di sintesi – che ora godono della maggioranza assoluta dell’elettorato, non ha fatto altro che alimentare proprio quel “populismo sovranista” che avrebbe voluto fermare. Perché quel gesto ha lasciato intendere che i mercati contano più delle persone. I voti possono essere ignorati e i processi democratici non riusciranno ad influire sulla linea di politica economica da adottare; di fatto il popolo non è sovrano.
Questo alimenta non solo la sfiducia verso le istituzioni, ma addirittura la possibilità eversiva. Non esageriamo: è suggerita in modo implicito dal Presidente stesso come unica strada per cambiare lo status quo; i meccanismi democratici e parlamentari, di fatto, ci vengono preclusi quando si tratta di decidere il sistema economico e la collocazione sullo scacchiere internazionale. Il populismo nasce proprio qui: dalla difesa dura e pura dello status quo; dallo svuotamento di ogni via democratica d’accesso ad un futuro alternativo.
Piotr Zygulski e Alessandro Volpi per il blog Nipoti di Maritain