“Caro Matteo, dove pensi di arrivare?”, è questa la domanda che si legge tra le righe dell’ultimo editoriale di Eugenio Scalfari, giornalista fondatore de La Repubblica. Il lungo monito di Scalfari, ripubblicato e commentato da Dagospia, è diretto al presidente del Consiglio e ci fornisce tutta una serie di spunti di riflessione sulle sorti dell’Italia in questa Europa, con questo governo e con queste riforme.
Analizzando “testo e contesto”, il giornalista si mostra prevalentemente scettico nei confronti dell’attuale lavoro dell’ex sindaco fiorentino, che con questa riforma del Senato sembra stia rivoluzionando un’Italia bloccata su molti fronti da ormai troppo tempo. Ma Scalfari lo ridimensiona, spiegando punto per punto perché, a suo vedere e con buona ragione, questa “rivoluzione renziana” non è che un insieme di belle promesse e facili illusioni che cavalcano l’onda di un nuovo fenomeno mediatico istituzionale.
La prima critica del fondatore di Repubblica va a colpire proprio il superamento del bicameralismo perfetto, una riforma che il premier spera di portare a compimento entro la fine dell’estate: ma a cosa serve uno snellimento dell’iter legislativo se poi viene tutto nuovamente bloccato dalla bizantina burocrazia ministeriale? D’altronde, fa riflettere l’autorevole Eugenio, di riforme ne sono state fatte anche durante i precedenti governi, quello di Mario Monti e di Enrico Letta, ma alle oltre 800 leggi votate e approvate dal parlamento mancano tutt’oggi quei decreti attuativi che le rendono efficaci.
Allora, di fronte a tale stato di cose, non dovrebbe essere il continuo balletto e gioco di rinvii tra Camera e Senato a preoccuparci, quanto invece la lentezza del Consiglio di Stato, braccio poco “se movente” della burocrazia.
Ma prima di entrare nel merito dell’oggetto del dibattito politico odierno, Scalfari torna a denunciare in toto la strategia politica di Matteo Renzi, tacciandolo di autoritarismo e presunzione. Il contesto inoltre, quello di un’Italia con serissimi problemi economici, rende più evidenti le prese in giro del governo a un popolo vessato e scontento, pronto ad abboccare l’amo del primo venditore di speranze.
Conscio dei numerosi e importanti compiti che il premier si troverà ad affrontare a stretto giro, come anche e soprattutto quello europeo, il giornalista si domanda se Renzi sarà effettivamente in grado di lavorare per l’Italia, non soltanto prometterlo a chi, nel frattempo, gli sta concedendo una grossa fiducia. La sua riflessione entra anche nel merito della più audacie trasformazione che il centrosinistra abbia avuto da anni, una trasformazione che però Scalfari, nel definirla unicamente “renziana”, fa apparire come negativa e inesorabilmente autoritaria.
Sì, perché nel nuovo Partito Democratico del rottamatore non mancano contestatori, ma “sono pochi e discordi tra loro”. Accusa l’assenza di “voci proprie” Scalfari, risparmiando solo Pier Carlo Padoan nella squadra renziana e tirando un colpetto sulla spalla anche del presidente della Repubblica: “Fa bene Napolitano a dichiarare che non esiste un rischio d’autoritarismo; fa bene chi si oppone al contingentamento del dibattito; fa bene chi non vuole l’ostruzionismo. Fanno tutti bene ma attenti perché con tutti questi divieti, a volte chiamati ghigliottina e altre volte tagliola senza che sia chiara la differenza tra quelle due parole, l’autoritarismo rispunta inevitabilmente. Rispunta non perché qualcuno lo voglia ma perché se ne creano le condizioni.”
Ma cosa vuole davvero ottenere questo giovanissimo capo del governo? Scalfari ha la sua risposta: “Renzi vuole potenziare l’Esecutivo e ridurre al minimo il Legislativo. Vuole il monocameralismo, dove agirà come presidente del Consiglio e leader del partito. Berlusconi farà altrettanto. Così andremo avanti fino al 2018. Se almeno riformassero lo Stato, ma temo sia l’ultimo dei loro pensieri.”
Tra queste varie forti affermazioni, il giornalista ricorda infine i consigli di Mario Draghi all’Italia, guardata dalla Bce con giustificato sospetto. Mentre Renzi continua a chiedere flessibilità la produzione scende insieme ai consumi e al Pil: è proprio qui che casca l’asino – fiorentino – secondo Scalfari. All’Europa non interessano le riforme italiane se non siamo in grado quantomeno di avvicinarci ai veri traguardi, chiamati competitività, produttività, aumento della base occupazionale ed equità sociale.
Giulia Angeletti