“Che la crescita sia allo 0,4% o al 1,4% non cambia nulla”, è proprio vero? L’esperienza dice di no
Il premier Renzi cerca sempre la sintonia con la popolazione, toccando le corde più scoperte di un populismo leggero, e certamente uno dei luoghi comuni più esplorati dai politici come lui è la distanza tra i “freddi” numeri dell’economia dalla vita reale, per questo gli è stato facile usare abilmente questo topos per minimizzare le previsioni di una crescita del PIL in Italia molto inferiori alle stime del governo
La realtà è infatti quella di previsioni di aumento del PIL nel 204 dello 0,2-0,3%, come ormai immginato da Confindustria, FMI, Banca d’Italia, ecc, e non dello 0,8% come preventivato.
Ma quanto cambia con uno 0,5% o un 1% di differenza nella crescita? Come sappiamo l’Italia è tenuta a rispettare i parametri di Maastricht, che tra le altre cose prevedono un rapporto deficit/PIL del 3%. E’ chiaro che un movimento diverso del denominatore, per esempio un rallentamento, fa aumentare a parità di numeratore il valore generale, e per tenerlo basso si devono mettere in atto le cosiddette “manovre correttive”, che possono essere molto diverse le una dalle altre, ma certo non sono indifferenti per il cittadino.
Infatti a seconda dello scarto dalle previsioni tale manovra dovrà essere di 10-20 miliardi di euro. Per far capire l’entità, basti ricordarsi quante polemiche e impatto mediatico i 4 miliardi di manovra di reintroduzione dell’IMU sulla prima casa avevano provocato.
In realtà l’impatto più significativo di una minore crescita è anche la …. minore crescita stessa, ovvero l’effetto sull’economia, sui posti di lavoro, sulla domanda di una prolungata crescita inferiore non solo alle attese ma anche alle economie vicine.
Di seguito vediamo i tassi di crescita in Italia e in altri Paesi chiave occidentali dal 2002:
Come vediamo il tasso di crescita italiano è stato costantemente inferiore a quello dell’eurozona, dal 2006 anche della Germania, sia nella “buona che nella cattiva sorte”, ovverso sia in fasi di ralentamento e recessione che di congiuntura positiva.
Se nei confronti di Spagna (fino al 2009), USA, Inghilterra e dal 2006 Germania le differenze furono elevate, con la media dell’area euro la discrepanza fu sempre limitata, toccano massimi del 1,5% ma non più, e tuttavia nel tempo queste differenze hanno provocato i seguenti effetti sul reddito procapite dei vari Paesi:
Ebbene mentre nel 2002 il reddito procapite italiano era superiore alla media dell’eurozona di 400€, nel 2013 è stata inferiore di 2500€. 7 mila€ il divario ormai raggiunto con la Germania, il cui reddito pro capite era uguale al nostro. E si noti l’opera di catching-up effettuato dalla Spagna dal 2002 al 2006 annullanndo i 2400€ di divario inziale, e possiamo scommettere che nei prossimi anni ci sarà un altro superamento vista la capacità spagnola di superare la crisi meglio dell’Italia, con una crescita del 1,3% contro lo 0,3% dell’Italia.
Chiaramente dobbiamo essere d’accordo sul fatto che il PIL sia direttamente correlato con il benessere dei cittadini, non pare che Renzi e a cultura che rappresenta siano epigoni del pensiero alternativo che vorrebbe ignorare questo indicatore, almeno fino ad oggi, e del resto a ricordarcelo ci sono i dati concreti come quelli sull’occupazione in Germania, in cui a quella differenza di PIL che abbiamo visto effettivamente corrisponde una disoccupazione di meno della metà (meno del 6% contro il nostro quasi 13%) e soprattutto una oupazione molto più alta.
Quindi una differenza in negativo nella crescita del PIL dello 0,5-1% vediamo come abbia ragione di essere temuta e considerata anche dal premier e dal governo, al di là delle dichiarazioni alla stampa.