L’essere umano, né nemico né risorsa. Migranti e Unione Europea
Migranti: un fenomeno complesso
Il fenomeno migratorio è sempre più al centro del dibattito pubblico e delle relazioni internazionali, soprattutto dopo l’affaire Acquarius. C’è chi parla di invasione, chi di emergenza, chi di possibilità. Gli interrogativi sono sempre più urgenti: come poter dare accoglienza? Come gestire un flusso così ingente? Come aiutare chi viene in Europa in cerca di speranza, uno stile di vita migliore e lavoro? L’emergenza è frutto di un libero movimento o indotta da biechi interessi? Come può l’Italia gestire questo processo?
Forse gli episodi più significativi del dibattito in corso sono stati tre: il vertice di Tallin, nel luglio 2017, in cui i paesi europei hanno confermato la volontà di collaborare senza, tuttavia, dare la disponibilità ad aprire altri porti oltre quelli italiani e dunque senza mettere in discussione il programma Triton; il post di Renzi, poi cancellato ma prontamente diffuso da Salvini, che argomentava la necessità di aiutare i migranti nella loro terra, in particolare in Africa; le dichiarazioni di Macron il quale si è detto indisponibile ad accogliere i “migranti economici”.
Dichiarazioni che assomigliano molto alle parole di Marine Le Pen durante la battaglia elettorale. Ma il fatto più drammatico è quello di questi giorni; la nave Acquarius con a bordo 630 persone in balìa del mare e del rifiuto dei governi italiano e maltese di aprire loro i porti. Una scena tragica, che deve obbligarci a riflettere e andare oltre la superficialità ideologiche da hastag.
Un po’ di numeri
Prima di proporre una pista riflessione, partiamo dalle statistiche. Secondo i dati Unhcr, tra il 1° gennaio e il 31 dicembre 2017 sono sbarcate in Italia 119.247 persone con una percentuale minore circa del 34% al 2016. La percentuale assume ancora più rilevanza se la si comprende a livello europeo; in tutta Europa nel 2017 sono arrivati 171.332 migranti, di cui 29.718 in Grecia e 22 mila in Spagna.
Quindi in questi mesi l’Italia ha accolto il 70% delle persone che si imbarcano da Nord Africa e Turchia. Inoltre, nel 2016 gli sbarchi in Italia sono stati 181.436, nel 2015 153.842, nel 2014 170.100. In quattro anni, dunque, vi sono stati quasi 680.000 nuovi ingressi nel territorio italiano; una cifra di circa 250 mila unità più grande rispetto a quanto accaduto tra il 1997 e il 2013 in cui, in totale, in 16 anni sono sbarcate 444.345 persone. Il grafico qui sotto è particolarmente significativo.
Cosa ricaviamo da questi dati?
Innanzi tutto che bisogna fare i conti con un’emergenza; non è un fenomeno ordinario, si tratta di un movimento fuori dal comune con cui occorre rapportarsi. Allo stesso tempo mi sembra quanto mai fuorviante parlare di “invasione”; basta pensare ai numeri della grande emigrazione italiana di inizio secolo che raggiunse l’apice nel 1913 in cui partirono, in un solo anno, circa 870000 persone. Tuttavia è un fenomeno migratorio consistente, con diverse cause legate alla situazione internazionale; come le guerre; la caduta di Gheddafi in Libia; la consistente desertificazione del corno d’Africa; il crescente clima di intolleranza nelle diverse parti del mondo; una assoluta incapacità (o non volontà) europea di fare fronte alla situazione.
Di fronte ad una crisi di questo tipo se l’Italia e l’Europa vogliono restare fedeli ai valori migliori della loro storia e tradizione, la parola d’ordine inequivocabile dev’essere: salvaguardia dei diritti umani. Tuttavia l’atteggiamento di molti paesi non è andato in questa direzione e l’Italia è stata da sola, al di là di una solidarietà a parole di tutti i membri dell’UE. Un principio dev’essere intoccabile se vogliamo ancora parlare di civiltà occidentale: la vita va salvaguardata e difesa.
No ai messianismi secolarizzati
Alla luce di questo principio possiamo riflettere sue due atteggiamenti che lo negano e che possiamo riportare a due diverse visioni di fondo. Il primo è di coloro che continuano ad alimentare un clima arroventato; per essi i migranti andrebbero ricacciati al mittente (senza specificare bene come) o, addirittura, lasciati in mare. Queste voci si appellano al fatto che i migranti sono uomini che non scappano da guerre e che sono in ricerca di fortuna approfittando del buonismo radical-chic; questo, quando è in buona fede, propugnerebbe accoglienza per ignoranza, quando è in mala fede spingerebbe per l’arrivo di nuova forza-lavoro a basso prezzo.
Una narrazione che forza la realtà prendendone alcuni pezzi e costringendoli in una visione angusta, negativa, complottista; uno schema già visto molte volte, purtroppo, nella storia delle visioni ideologiche. In essa le salvezze di volta in volta prospettate sono state assunte come missioni soteriche dai vari “messianismi secolarizzati” come li definì Giovanni Paolo II. Qui dovremmo imparare dalla storia; chi propone la realtà come un disegno diabolico in cammino verso una distruzione imminente, si presenta, allo stesso tempo, come l’unica speranza dell’umanità. Il punto di partenza è uno sguardo maligno verso una parte di umanità che, a sua volta, nasce dall’assolutizzazione di alcuni elementi presi come unico riferimento. Possiamo, dunque, chiamare questa visione come ideologia messinanista-apocalittica.
No all’arida inumanità della tecnica dello sfruttamento
Tuttavia non è solo questo l’atteggiamento ideologico dal quale guardarsi; a ben vedere anche coloro che presentano i migranti come una risorsa da sfruttare fanno riferimento ad una visione distorta della società e dell’umanità. Il migrante, come ogni uomo, non è una risorsa, termine che richiama il rapporto dell’uomo con ciò che potenzia il suo essere. No, il migrante è un essere umano, da aiutare e accogliere perché tale. I migranti non ci servono come piccoli schiavetti per reggere il nostro welfare; chi lo racconta mente, consapevolmente o meno, e alimenta la paura di chi appoggia l’ideologia apocalittica.
Per restare umani è necessario costruire una società in grado di accogliere, donare speranza e futuro. Se il migrante diventa una risorsa indispensabile per la nostra società, vuol dire che stiamo costruendo una società corrotta, avvelenata, destinata a non durare perché non si basa sulla reciprocità ma sullo sfruttamento. Anche in questo caso c’è un’idea di fondo, questa volta tipica visione della tecnica ovvero quell’atteggiamento che vede la realtà come fondo da esaurire e l’altro come qualcosa su cui imporre il proprio dominio. Quando l’altro mi serve per “potenziarmi” non lo sto accogliendo, lo sto sfruttando. E, così facendo, perdo la mia umanità. Come sottolineato dal direttore di Nipoti di Maritain, Piotr Zygulski, occorre non lasciare che il nostro cuore venga strumentalizzato sulla pelle delle vere persone, fintamente respinte o fintamente accolte.
Il futuro nasce da uno sguardo benedicente sull’umanità
La cura a queste ideologie può essere solo un rinnovato sguardo sull’umanità che ne benedice l’essenza profonda. Dobbiamo fare una scelta e chi può deve portare a riflettere su questo punto di fondo: o partiamo da una fiducia quasi incondizionata nella bontà dell’umanità, oppure alimentiamo crisi, conflitti ed emergenze e al posto di prospettare soluzioni diventiamo parti del problema. Ciò che serve è una diffusa solidarietà e fraternità, un clima di ascolto e aiuto concreto, da cui soli si può generare futuro; ancora più a fondo serve una sorta di nuovo patto sociale che sappia fare i conti, e non abbia paura di farli, con una situazione di emergenza. I nemici dell’emergenza, nella quale occorre trovare soluzioni condivise per problemi complessi, sono la paura e la volontà di imporsi sull’altro. Se facciamo fronte comune contro queste ideologie, potremo costruire un futuro migliore.
Davide Penna per il blog Nipoti di Maritain