Decreto dignità: i problemi poco noti. Ecco tutti i contro

Pubblicato il 22 Giugno 2018 alle 15:30 Autore: Giancarlo Fiorentino
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Decreto dignità: i problemi poco noti. Ecco tutti i contro

Sul fronte del lavoro tiene banco da giorni il dibattito sul futuro dei rider; nuove figure professionali figlie dell’era digitale che reclamano maggiori diritti e tutele nell’esercizio della professione. Il ministro del Lavoro Di Maio, quindi, ha annunciato un pacchetto di misure volte a regolamentare la gig economy; in pratica, si parla del cosiddetto Decreto dignità.

Le indiscrezioni trapelate in merito ad alcune delle misure avevano scatenato la reazione delle aziende di settore; l’amministratore delegato di Foodora Italia Gianluca Cocco poi ha addirittura palesato la possibilità di “lasciare l’Italia”.  La convocazione di un tavolo di confronto con tra aziende e ministero ha portato a una rapida distensione.

Decreto dignità: i problemi poco noti. Ecco tutti i contro

Il giuslavorista Ciro Cafiero in un’intervista a vita.it, comunque aprendo all’idea di più diritti per i rider, ha individuato tre problematiche di fondo che il decreto creerebbe alla categoria; questi si riassumono in tre parole: “incompatibilità”; “decrescita della contrattazione collettiva”; “rischio disinvestimento”.

Incompatibilità, nel senso che la normativa vigente, è pensata per il lavoro industriale, “per chi lavorava in luoghi definiti e delimitati e soggetti al potere direttivo”; dunque, mal sarebbe adattabile a figure itineranti come i rider.

Il rischio di decrescita della contrattazione collettiva riguarderebbe, invece, la “messa in disparte dell’autonomia collettiva che il decreto rischia di introdurre”. Il decreto, cioè, subordinando la paga dei rider a un contratto collettivo, ne eliminerebbe la capacità di contrattazione salariale. Minerebbe “il senso di una dialettica tra legislatore e parti sociali rispetto al salario”; dialettica che sarebbe per la categoria “proficua e produttiva”.

Inoltre, la normativa, se estesa ai rider, comporterebbe un irrigidimento del mercato del lavoro italiano; con conseguente rapida perdita di attrattiva per le imprese e un consistente rischio di disinvestimento. Il decreto, cioè, rischierebbe di chiudere le porte a un mercato in rapida crescita.