I Pirenei, gli Champs-Elysèes e il vento sulla faccia. Ecco le roi Nibali
“Mask – Dietro la maschera” è un film molto toccante del 1985 che racconta la storia di un adolescente, Roy “Rocky” Dennis, un ragazzo estremamente sensibile ed intelligente affetto da un rarissimo morbo chiamato leontiasi che, oltre ad accorciare drasticamente l’aspettativa di vita delle persone colpite (una su 22 milioni), ne sfigura il volto in maniera tremenda facendole assomigliare a dei felini. Durante un momento del film, Rocky recita una sua poesia in cui prima elenca quelle che per lui sono le gioie della vita, terminando con “il vento sulla mia faccia”.
Poi passa a quelle brutte, e dopo un elenco piuttosto toccante, finisce ancora una volta con “il vento sulla mia faccia”. Se siete mai saliti in sella ad una bicicletta per un giro che andasse oltre il classico passaggio in centro al paese, e almeno una volta vi siete trovati a pedalare controvento lontani da casa e senza possibilità di tornare indietro, forse anche voi avreste pensato esattamente la stessa cosa. C’è chi magari lo ha pensato davvero, ampliando il concetto di “lontano da casa” ben oltre le normali proporzioni a cui siamo abituati, pedalando sulle cime degli Appennini, delle Alpi o dei Pirenei.
È il 14 novembre 1984 quando sullo stretto di Messina viene alla luce il piccolo Vincenzo, figlio di Giovanna e Salvatore Nibali. Salvatore è un grandissimo appassionato di ciclismo, e come ogni genitore che si rispetti, trasmette al figlio la passione direttamente col DNA. Quando Vincenzo è in macchina con papà, per esempio, sull’autoradio non passano le cassette coi successi dell’epoca, ma le telecronache dei trionfi di Moser del 1984, tratti direttamente da una videocassetta che, non si fatica a immaginare, veniva letteralmente logorata nel videoregistratore di casa. Vincenzo però non è il classico talento precoce, e tratta i suoi velocipedi come qualsiasi altro normalissimo bambino. Come mezzi di trasporto per andare in giro con gli amici. Ci rimette lo zampino ancora il papà, che un giorno gli fa trovare il telaio della vecchia bicicletta da corsa tutto dipinto di rosso fiammante. Un inguaribile romantico vi direbbe che la scintilla scatta proprio in quel momento lì. Se è andata diversamente è un dettaglio che qui non vogliamo sapere. È passione vera, come a nove anni può esserlo per chi ha capito cosa gli piace davvero nella vita.
Vincenzo inizia a mettersi in mostra fin da subito nelle gare giovanili, e pur avendo saltato la trafila dei primissimi anni dimostra di avere la gamba giusta per recuperare terreno in fretta. E poi nello sport, qualsiasi sport, se hai talento si vede. E anche in questo caso non si fanno eccezioni. Centrare il podio ai mondiali juniores diciamo che tende ad aiutare, ma c’è anche molto altro. Ci sono piazzamenti importanti, ci sono vittorie, e ad un certo punto c’è pure la necessità di andare via da casa, perché quando un pesce diventa troppo piccolo per un acquario bisogna trovargliene uno più grande. Lo disse Shaquille O’Neal parlando di se stesso quando passò dalla piccola Orlando all’immensa Los Angeles. Con le dovute proporzioni (soprattutto fisiche visti i 140 chili di Shaq spalmati su 216 centimetri) lo stesso si può dire di Nibali, che lascia la Sicilia dopo il bronzo mondiale nel 2002 per approdare in Toscana, terra che eleggerà un po’ come una seconda casa. Arriveranno altri successi, seguiti da un altro bronzo mondiale nel 2004 come under 23. Finiti i percorsi giovanili, giunge il momento quindi di spiccare il volo definitivo verso il professionismo vero e proprio.
Inizia con la Fassa Bortolo per poi passare l’anno successivo con la Liquigas. Anni di buoni piazzamenti e vittorie fino ad arrivare alla consacrazione definitiva sulle strade di Madrid, quando al termine della Vuelta 2010 la maglia rossa è saldamente sulle sue spalle. Dopo essere arrivato terzo al Giro d’Italia, una annata decisamente non male. Ormai Nibali, detto “Lo Squalo dello Stretto” per il suo stile sempre aggressivo e con chiaro riferimento alle sue origini, è ormai considerato tra i migliori ciclisti in circolazione. Ragazzo sempre tanto aggressivo in sella quanto umile e modesto quando non corre, resta legato per anni alla squadra della Liquigas nonostante le numerose offerte che gli arrivano da altri team. Poi arriva il 2012. E se il mondo fortunatamente non è andato a ramengo dietro le profezie Maya, per Vincenzo è comunque cambiato in maniera importante grazie a due “sì” fondamentali detti in circostanze diverse.
Il primo di fronte alla sua compagna di sempre, Rachele, a testimonianza di una persona che come detto non è cambiata nel modo di essere e di relazionarsi col passato, e l’altro con un nuovo team, quella Astana che su di lui ha deciso di investire tutto, facendone l’uomo di punta e attorniandolo anche di numerosi dei suoi gregari più fidati. La scelta paga, eccome. Adesso lo sa tutta Italia. Ci sono la vittoria del Giro nel 2013, e quella più recente del Tour che lo consacrano come il più forte corridore italiano (e forse non solo) del momento.
E chissà se mentre scalava la durissima Cima Coppi, o la terribile Alpe D’Huez, Vincenzo ripensava ai giorni dell’infanzia in sella alla vecchia “Pinarello” rossa di papà, alla possibilità di essere il secondo italiano nella storia dopo Felice Gimondi a vincere la Tripla Corona (cioè vincere Vuelta, Giro e Tour in carriera), o semplicemente a quanto fosse bello e al tempo stesso tremendo quel vento freddo sulla sua faccia
Marco Minozzi