Wimbledon 2018: la semifinale infinita tra Anderson e Isner
Wimbledon 2018: ad Anderson la semifinale infinita tra Anderson e Isner.
Ieri pomeriggio, a Londra, è andata in scena una partita di tennis che resterà nella storia di questo sport e che inevitabilmente farà emergere molte domande e qualche perplessità, ma andiamo con ordine: Kevin Anderson è il primo finalista di questa edizione dei Championships, dopo aver regolato in 6h 36′ John Isner con il punteggio di 26-24 al quinto set. Una partita di intensità pazzesca, scarna, legata quanto mai al servizio, partita che ha portato allo sfinimento i due contendenti; alla fine ne è emerso il giocatore più completo, quello più abile nello scambio, e anche che aveva più energie (lo statunitense negli ultimi game era visibilmente cotto).
Wimbledon 2018: le critiche degli esperti
Vedi il punteggio e pensi a una partita che per forza deve aver mandato in visibilio il pubblico, in realtà non è proprio così: molte le critiche piovute addosso a questo match, ai due giocatori e, soprattutto, al regolamento che non prevede il tie break nel quinto set. Analizziamo questi elementi:
L’incontro è stato quello che ci si aspetta quando scendono in campo due tennisti che superano i 2 metri di altezza e che si gioca sull’erba: scambi ridotti all’osso, valanghe di aces e di servizi vincenti, schemi servizio e dritto e risposta aggressiva e subito colpo a chiudere a go go. Non di certo un match esaltante per i puristi del gioco che sono abituati a vedere altro in una semifinale di Wimbledon, ma tutto è ancora accettabile fino al 5° set, qui esplode la miccia: il set decisivo dura quasi 3 ore, e per molto tempo sembra non accadere davvero nulla, con il servizio che domina e con una partita che dal punto di vista tecnico diventa inevitabilmente bruttina, vista la ormai evidente stanchezza dei giocatori. Come detto in precedenza, nel set decisivo non è previsto il tie break, e dunque iniziano a venire battuti molti record: durata della partita, numero di aces in un torneo per Isner. Ma il problema principale è che tutti gli spettatori aspettano l’altra semifinale, quella che vede coinvolti Nadal e Djokovic, tanto che una tifosa dello spagnolo, dagli spalti, urla che sta apettando quella partita e sollecita i due contendenti in campo a farla finita, un trattamento poco “carino” per due tennisti che si stanno giocando la loro prima finale a Church Road.
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Wimbledon 2018: le conclusioni
In uno sport che è sempre più prigioniero dei miti Nadal e Federer e in cui, a parte pochissime eccezioni, c’è sempre meno spazio per gli altri, i tifosi hanno perso il senso dell’epicità che una volta il tennis aveva: se ci fosse stato il tie break e se, come invocato da quella tifosa spagnola, Isner e Anderson l’avessero fatta finita, non avremmo assistito a un match che, per gli amanti dello sport vero e proprio, è indimenticabile, pieno di una voglia di vincere e di un attaccamento alla partita commoventi, e pazienza se il gioco espresso non rispecchia i canoni della perfezione estetica: anche Bjorn Borg era considerato un anti esteta quando è emerso, per non parlare del gioco “sparagnino” e ultra difensivo di Andy Murray, che qui ha trionfato per 2 volte e che è osannato dal pubblico londinese. Ognuno ha il suo stile di gioco, e questi due ragazzi ci hanno messo più di 10 anni per raggiungere il punto in cui sono e con grande dedizione e sacrificio; a 32 anni il sudafricano e a 33 l’americano, stanno ottenendo i risultati migliori della loro carriera, nonostante un talento inferiore a molti loro colleghi, e per questo vanno rispettati. Inoltre va ricordato che 3 delle 4 prove del Grande Slam non prevedono il tie break al 5° set e che le partite più belle di questo sport sono proprio le più lunghe, perchè il match si trasforma quasi in una lotta ed emergono sentimenti e emozioni tipici di altre epoche.