A volte mi faccio delle fantasie: se uno storico, tra qualche secolo, dovrà scrivere dei nostri tempi probabilmente sarà costretto a descriverli come tempi di immobilità e di sviluppo fortemente diseguale. Probabilmente sarà costretto a scrivere che lo schiavismo, per esempio, non è finito alla fine dell’ottocento ma si è prolungato, con modalità diverse, almeno fino all’inizio del terzo millennio (si pensi a tutte le miniere illegali in Africa, o alla raccolta della frutta e della verdura in Europa). Allo stesso modo dovrà dire del colonialismo che, dopo la fine formale negli anni sessanta, è ricomparso sulla scena. Naturalmente con modalità diverse, adatte ai tempi.
Il riferimento è al fenomeno del “Land Grabbing”, letteralmente accaparramento di terre attraverso formule diverse: affitto per alcuni decenni o concessioni. Avviene soprattutto in Africa e in Asia dove diversi paesi sono alle prese con il tentativo di raggiungere l’autosufficienza alimentare.
Obiettivo che si fa sempre più irraggiungibile anche per una questione demografica. In Africa, per esempio, nel 1980 vivevano 469 milioni di persone, oggi hanno superato il miliardo e raggiungeranno una cifra più che doppia nel 2050. Ciò significa che c’è una richiesta sempre maggiore di terra per produrre cibo adatto al consumo locale.
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Invece la terra oggi viene affittata, concessa a paesi stranieri, quasi sempre di altri continenti, che la utilizzano per produrre cibo per alimentare le proprie popolazioni o biocarburanti per ottenere preziosa energia. Chi sono questi paesi? Tutti, anche i più insospettabili, Italia compresa. Ma se si deve fare una classifica si nota che al primo posto ci sono gli Stati Uniti che avrebbero ottenuto l’utilizzo di ben sette milioni di ettari di terre nel mondo (buona parte in Africa). Vengono poi Malesia, Emirati Arabi, Regno Unito, India. Insomma paesi che non hanno terre a sufficienza, che sono economie emergenti o potenze della vecchia guardia e che hanno conosciuto importanti incrementi demografici.
Chi sono i venditori? Al primo posto Papua Nuova Guinea seguita da Indonesia. Subito dietro c’è l’Africa: Sud Sudan, Repubblica Demogratica del Congo, Mozambico. Se a fronte di questi dati si pensa che le terre emerse sono circa 150 milioni di chilometri quadrati, ma le terre adatte all’agricoltura (quindi tolti ghiacciai, deserti, steppe, paludi) sono molto meno. Se si dividono queste per gli oltre sette miliardi di persone che oggi abitano il pianeta Terra si vede che ognuno ha a disposizione circa duemila metri quadrati di terra.
È evidente che il fenomeno del Land Grabbing ruba terra a qualcuno… e non è necessario dire a chi. Seconda costatazione: è evidente che il Land Grabbing è come, e forse peggio, del colonialismo. Questo puntava a conquistare e controllare territori per instaurarvi monocolture destinate all’esportazione (in Senegal le arachidi, in Sudan il cotone, in Kenya il Thè, in Costa d’Avorio il cacao). Il Land Grabbing fa la stessa cosa, con modalità diverse, naturalmente. Utilizzando un sistema “moderno”, quello del mercato che come noto non è affatto democratico.
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