Alitalia, Toninelli: “Tornerà al 51% dello Stato”. Le ipotesi e la cronistoria sulla compagnia di bandiera
Alitalia, Toninelli: “Tornerà al 51% dello Stato”. Le ipotesi e la cronistoria sulla compagnia di bandiera
Alitalia sarà al 51% “in mani italiane”. Così il Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Danilo Toninelli. Che, dunque, pianta il primo reale paletto del governo giallo-verde sul controverso caso della compagnia di bandiera. “L’Italia deve tornare a possedere una compagnia tricolore” è il monito di Toninelli raccolto dal Corriere.it. Una presa di posizione che conferma come l’esecutivo stia escogitando un piano per ‘salvare il salvabile’, ma sotto il pieno controllo statale.
La matassa, però, appare molto difficile da districare. L’azienda infatti, dopo vari tentativi di ristrutturazione, anche con l’aiuto dello Stato (che non ne è più proprietario dal 2009), è entrata in amministrazione controllata a maggio 2017. Questo perché le perdite fatte registrare sotto il controllo del nuovo asset alla guida di Alitalia dal 2014, formato dagli arabi di Etihad e da una cordata di banche e aziende nostrane, hanno prodotto un buco di bilancio stimato intorno ai 400 milioni di euro.
Alitalia e Governo Gentiloni
Il Governo Gentiloni, allora, onde evitare la chiusura e lo smembramento dell’azienda, varò il famoso ‘prestito ponte’ da 900 milioni di euro. In sostanza, una boccata di ossigeno; servita a concedere più tempo ai commissari della compagnia per cercare eventuali compratori che la ristrutturassero. Ora, con l’ok al decreto legge arrivato il 20 giugno scorso dalla Camera, si conosce pure il termine oltre il quale non sarà più lecito attendere: il 31 ottobre.
Se entro quel giorno, infatti, non saranno pervenute delle serie offerte per l’acquisto di Alitalia presso la sede di Fiumicino, l’ipotesi chiusura diventerà molto concreta. È in questo contesto, dunque, che vanno inserite le parole di Toninelli. In totale coerenza, per altro, coi contenuti del contratto di governo. Perché l’intesa nero su bianco tra 5 Stelle e Lega, nello scartare l’ipotesi cessione, accenna chiaramente al potenziamento in chiave nazionale. Assunto che ‘insegue’ anche alcuni sondaggi, favorevoli alla nazionalizzazione della compagnia.
Alitalia, il piano: ecco chi potrebbe comprare il 51% delle azioni
In queste ore, le ipotesi su quali ‘pezzi dello Stato’ possano essere in grado di acquisire il 51% di Alitalia si sprecano. Una punterebbe ad una sorta di join venture tra Cassa Depositi e Prestiti e Invitalia, il braccio finanziario del Ministero dello Sviluppo Economico. Un’altra, invece, vedrebbe scendere in campo, sempre insieme a Cassa Depositi e Prestiti, le Ferrovie dello Stato.
E il restante 49%? A quanto pare Toninelli ha aperto anche in questo caso a denari di provenienza pubblica, come riportato dal Fattoquotidiano.it. Non si esclude però (e sembra l’ipotesi più accreditabile) che il governo stia già lavorando per coinvolgere uno dei grandi asset mondiali del settore. La parola d’ordine sarebbe: mai più imprenditori fuori dal circuito internazionale del trasporto aereo. Come accaduto proprio nel 2008 coi ‘capitani coraggiosi’ appoggiati, di fatto, dal governo Berlusconi in funzione anti-francese.
Per ora, comunque, ai tecnici del MIT e ai commissari pare siano arrivate soltanto aleatorie manifestazioni di interesse da parte di EasyJet, Lufthansa e Wizzair; cioè, senza adeguati (e chiari) piani finanziari.
Ma l’operazione prospettata da Toninelli rischia di infrangersi comunque contro lo scoglio ‘Europa’. Come per il famoso prestito ponte da 900 milioni di euro infatti, sull’eventuale manina pubblica in Alitalia graverebbe l’ipotesi ‘aiuto di Stato’, non contemplato dai complicati meccanismi di Bruxelles.
Alitalia: privatizzazione e buchi di bilancio
La nostra compagnia di bandiera è stata, di fatto, di proprietà dello Stato fino al 2009 (prima era dell’IRI, dal 2002 del MISE). Anno dello snodo cruciale con la privatizzazione. Nel 2008 Berlusconi vince le elezioni. E, nome dell’italianità, fa di tutto per evitare che Alitalia cada nelle mani di Air France-KLM. Ed ecco dove si inseriscono i ‘capitani coraggiosi’ unitisi nella CAI (Compagnia Aerea Italiana). Un gruppo formato da Intesa San Paolo, Unicredit, dalla IMMSI di Roberto Colaninno (che ne sarà presidente), Atlantia e Poste Italiane, che assumono il 75% delle azioni. Il restante 25% lo acquista invece proprio la Air France-KTM.
Due conti sulla gestione CAI-Air France-KTM, come testimoniato da un report di Mediobanca. L’operazione porta alla creazione di una ‘bad company’: perdite e debiti di Alitalia vanno a carico allo Stato Italiano. Ovvero dei cittadini. In tutto, dal 2008 al 2014, tra prestito per evitare il fallimento, ammortizzatori sociali e passivi patrimoniali, fanno 4,1 miliardi di euro.
Se si conteggia anche il saldo negativo dei denari che i vari governi hanno investito tra il 1974 e il 2007 (circa 3,3 miliardi di euro), periodo del commissariamento di Alitalia, si capisce facilmente come la compagnia di bandiera sia costata complessivamente qualcosa come 7,4 miliardi di euro.
Poi, è la volta di Etihad. Nel 2014, infatti, Air France-KTM non ricapitalizza. Quindi, per andare avanti, c’è bisogno di un nuovo socio. È qui entra in scena la compagnia degli Emirati Arabi, che assume il controllo del 49% (il restante 51% va in mano alla Midco Spa, partecipata sempre da CAI). Un’altra gestione poco felice. Che conduce all’amministrazione controllata del maggio 2017. Al prestito ponte. E ad un’inchiesta per bancarotta sul buco di circa 400 milioni di euro in pancia ad Alitalia.