Decreto dignità, stop reintroduzione articolo 18: ecco cosa diceva Di Maio in campagna elettorale
Decreto dignità, bocciata la reintroduzione dell’articolo 18
La Camera, ieri, ha bocciato la reintroduzione dell’articolo 18. Quello che in sostanza obbligava la reintegrazione di un lavoratore da parte del giudice in caso di licenziamento senza giusta causa. Norma cancellata dallo Statuto dei Lavoratori col Jobs Act targato ‘governo Renzi’. Il tentativo di riportarlo in auge è venuto da Liberi e Uguali, con un emendamento ad hoc proposto dall’ex segretario della Cgil Guglielmo Epifani nell’ambito della discussione in corso a Montecitorio.
Netta la bocciatura: solo 13 i favorevoli alla reintroduzione (i deputati di LeU). 317 i contrari, in sostanza coincidenti con la pattuglia della maggioranza Lega-5 Stelle. Mentre si sono astenuti 191 deputati, Forza Italia e Pd in primis.
Infinite, prima e dopo il voto, le polemiche tra maggioranza e opposizione. Soprattutto queste ultime hanno infatti puntato il dito contro il M5S e il Ministro dello Sviluppo Economico Luigi Di Maio, accusato di aver fatto marcia indietro sull’articolo 18. Questo perché, secondo le minoranze, il capo politico dei pentastellati ne ha promesso più volte la reintroduzione durante la campagna elettorale in vista delle politiche del 4 marzo.
Decreto dignità, bocciata la reintroduzione dell’articolo 18: l’iter e le posizioni dei partiti
A Montecitorio, durissimo il dibattito prima e dopo il voto sull’articolo 18. La proposta è arrivata da Liberi e Uguali. A quel punto, è iniziata la bagarre. Col capogruppo Roberto Speranza di LeU che ha esortato il M5S a votare sì alla reintroduzione. Poi, la mossa di Forza Italia, con l’annuncio da parte di Renata Polverini dell’astensione degli azzurri. Un modo per ‘palesare’ la distanza, secondo la deputata, tra la propaganda elettorale e le reali intenzioni della maggioranza. Il Pd, a rimorchio, ha fatto altrettanto, non esprimendo nessun voto all’emendamento di LeU. Risultato: i 13 sì di LeU. I 317 no di Lega e 5 Stelle. E l’astensione di Pd e Forza Italia.
Pierluigi Bersani “deprimente”
Per Pierluigi Bersani di LeU “deprimente” la scena degli gli applausi che si sono fatti a vicenda quelli che “hanno tolto l’articolo 18” e gli altri che non l’hanno rimesso. Secondo Roberto Speranza, capogruppo di Liberi e Uguali, è stata la “Waterloo dei 5 Stelle, che si sono rimangiati la promessa di reintrodurre l’articolo 18”. Durissima la reprimenda del Pd: “Di Maio e Salvini – ha detto Debora Serracchiani, capogruppo dem in Commissione Lavoro – prendono atto che hanno mentito agli italiani raccontando loro che avrebbero abolito il Jobs Act”.
Di Maio invece, silenzioso in aula, si è limitato a difendere l’impianto generale del decreto dignità: “Lo abbiamo migliorato ancora nelle commissioni – ha scritto su Facebook – potenziando sia la lotta al precariato che il contrasto all’azzardo e la semplificazione fiscale. Ci avevano sempre detto che non era possibile aumentare i diritti, e che anzi bisognava tagliarli per tornare a crescere. La crescita non è arrivata, ma solo il record di contratti a termine e del precariato. Ora noi stiamo cambiando passo, tutelando il lavoro dagli abusi e le imprese dalla concorrenza sleale di chi prende i soldi pubblici e poi scappa in altri Paesi. Non finirà qui, è solo l’inizio!”.
Decreto dignità, bocciata reintroduzione dell’articolo 18: le dichiarazioni di Di Maio e Di Battista in campagna elettorale
Ma sono vere le accuse a Di Maio sulla mancata promessa di reintroduzione dell’articolo 18? Scandagliando le vare dichiarazioni risalenti ai giorni subito precedenti alla fine della campagna elettorale, la risposta è ‘ni’. In effetti, il capo politico del M5S, che all’inizio della campagna si era fatto scappare la promessa, verso la fine è stato però molto più cauto: “Valuteremo se ritornare alla disciplina precedente per le imprese sopra i 15 dipendenti”, furono le parole pronunciate da Di Maio, incalzato sull’articolo 18 il 27 febbraio 2018 a DiMartedì.
Alessandro di Battista, cosa diceva
Più diretto e meno ‘contorsionista’ (come sempre), invece, Alessandro Di Battista. Che, a pochi giorni dal voto dichiarava senza mezzi termini: “Nel programma del M5S c’è il ripristino dell’articolo 18 com’era prima”. Amen.
Poi, post voto, la crisi infinita. Così come le trattative verso un governo stabile al paese. Culminate nel contratto di governo Lega-5 Stelle. Spulciando all’interno del documento, la reintroduzione dell’articolo 18 non vi appare. Ci sono, invece, nella sezione ‘Lavoro’, parole abbastanza chiare in merito alla lotta alla precarietà causata dal Jobs Act, attraverso la creazione di rapporti di lavoro più stabili. Presente anche la reintroduzione dei voucher, sebbene con alcuni salvagenti anti-abusi. Insomma, tutto in linea con i punti focali del decreto dignità in queste ore al vaglio della Camera.