Rimborsi elettorali, per Di Pietro un’ingiunzione dagli ex compagni di lista: “Ci deve 2,7 milioni”
Problemi giudiziari in vista per Antonio Di Pietro. Dall’esilio volontario della natia Montenero di Bisaccia, in provincia di Campobasso, l’ex leader dell’Italia dei Valori si è visto recapitare un decreto ingiuntivo, firmato dal Tribunale di Roma, che gli impone di pagare quasi 2,7 milioni di euro agli antichi partner della lista Di Pietro-Occhetto, creata ad hoc per le elezioni europee del 2004.
In quell’occasione, è bene ricordarlo, la lista “Società civile – Di Pietro-Occhetto” ottenne il 2,14% dei voti. Poiché la legge elettorale per le europee era all’epoca basata su un proporzionale puro senza sbarramenti, la lista riuscì a conquistare due seggi, che andarono a Giulietto Chiesa e ad Antonio Di Pietro stesso, che si dimise nel 2006 per andare a ricoprire la titolarità del Ministero dei Trasporti. A Di Pietro, dopo una lunga diatriba giudiziaria con Occhetto, subentrò poi il calabrese Beniamino Donnici.
Il cartello elettorale appositamente creato per l’occasione andò ben presto in frantumi, in seguito a contrasti insanabili tra le due aree di riferimento: l’una legata ad Antonio Di Pietro, l’altra – meno leaderistica e aperta al progetto ulivista – facente capo a Occhetto, Chiesa ed Elio Veltri. I due gruppi, quindi, procedettero su strade diverse, ritrovandosi poi insieme due anni dopo, all’interno della coalizione che portò Romano Prodi al governo del paese. Alla lista Di Pietro-Occhetto, però, spettarono – all’indomani delle elezioni europee 2004 – ben 5,4 milioni di euro di rimborsi elettorali, che sarebbero stati intascati interamente dall’ex magistrato, per conto dell’ Italia dei Valori, che non è il partito ma è il nome di un’associazione di cui fanno parte lo stesso Antonio Di Pietro, oltre alla moglie e a Silvana Mura, ex tesoriera del partito e deputata dal 2006 al 2013.
Un abile meccanismo che avrebbe permesso all’ex pm di Mani Pulite di eludere i patti pre-elettorali stabiliti con Chiesa e Occhetto, il cui gruppo originario, i “Riformatori per l’Ulivo”, ha poi mutato nome in “Cantiere per il bene comune”. Per mezzo di una lettera del Tribunale di Roma, dunque, i già compagni di lista – forti di un pronunciamento favorevole anche da parte della Cassazione nel 2011 – chiedono adesso di ricevere 2 milioni e 694mila euro, esattamente la metà dell’ammontare dei rimborsi a cui “Società civile – Di Pietro-Occhetto” ebbe diritto dieci anni fa.
Interpellato sulla questione, Di Pietro si difende, asserendo di trovarsi di fronte ad una vicenda che va ormai avanti da tempo. Una prima decisione degli organi giudiziari aveva ricusato la richiesta di Chiesa, in quanto il “Cantiere per il bene comune” non aveva la personalità giuridica per poter esigere quei diritti che non rivendicava, senza contare il fatto che, afferma l’ex pm, le spese elettorali erano state sostenute esclusivamente dall’Idv. Le sentenze successive hanno poi ribaltato gli esiti. Inoltre, in riferimento all’anomalia dell’omonima associazione “Italia dei Valori”, Di Pietro si dice sicuro: “Ma quando mai? Associazione, movimento, partito… chiamatelo come volete. Resta il fatto inoppugnabile che il codice fiscale del soggetto a cui sono stati accreditati i fondi è uno soltanto. Così come uno soltanto è lo statuto”.
Una vicenda che potrebbe creare ulteriori imbarazzi ad un partito, l’Idv, ormai ridotto ai minimi termini, e il cui ultimo risultato (0,65% alle scorse europee), dimostra che il ricambio della classe dirigente (con Di Pietro stesso messosi volontariamente da parte) è servito per ora a poco.