Profondo Nero: il nuovo albo Dylan Dog firmato Dario Argento
Copertina lucida e catarifrangente, come non se ne vedono spesso tra gli scaffali di edicole e fumetterie. Dosaggio di tratti decisi ed eterici in un sapiente equilibrio, dettagliati e non, di cui l’occhio avverte l’immediate armonia, anche quello meno esperto. Neppure il più agguerrito detrattore non può non notarlo: questo non è un numero ordinario.
E se avete dubbi, la scritta bianca sotto l’iconico titolo “Dylan Dog” in rosso li dirada tutti: scritto da Dario Argento.
Ebbene si, l’indagatore dell’incubo incontra il maestro dell’incubo. O viceversa. Incontro che non si sarebbe compiuto senza Stefano Piani, sceneggiatore per la Bonelli e amico di Dario Argento. Difatti i due firmano insieme il nuovo mensile con protagonista l’inquilino di Craven Road, il feroce guidatore di maggioloni, il cremoso romanticone londinese che ad ogni numero cambia nido d’amore senza mai beccarsi, per questa ragione, una malattia venerea o un coacervo di esse.
In ogni caso, i due amici ci regalano una delle più belle storie della nuova era targata Recchioni. Leggere per credere.
Una stasi inevitabile per un grande classico
Non era un periodo particolarmente felice per Dylan: gli ultimi numeri si susseguivano blandi e sconclusionati. Trame prive di carisma con immancabili deus ex machina difficili da digerire anche per chi, come lo scrivente, legge la creatura sclaviana da più di un lustro. L’impegno c’era, qui non si discute, ma la qualità mancava soprattutto nel reparto sceneggiature, come già accennato. Ricordiamoci anche che il buon indagatore ha alle spalle ben 32 anni di pubblicazioni, il cui peso si sente tutto. Come ogni gigante del suo settore, a distanza di molti anni, anche Dylan Dog affronta una crisi del paradigma e un’impasse creativa.
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Profondo Nero, la trama del Dylan Dog targato Argento
Brevi frammenti in forma di flashback ci introducono alla storia: è il 2006, siamo in un luogo imprecisato fuori Londra, in un grande castello, due giovani donne si accingono a derubare la proprietaria, una di queste è la stessa figlia.
Con un notevole balzo temporale torniamo al 2018, nel grigio traffico londinese. Per un errore viene sequestrato il leggendario maggiolone al nostro Dylan, il quale viene forzato a usufruire delle proprie gambe per tornare alla dimora. Sulla via del ritorno, per caso fortuito, viene attratto da un singolare edificio, un cubo bianco al cui interno si svolge una mostra Bdsm. Per i catechisti in ascolto, il Bdsm è l’insieme di pratiche erotiche basate sui tre binomi sadismo/masochismo, dominazione/sottomissione, bondage e disciplina. Dunque un rapporto fortemente gerarchizzato costituito da padrone e schiavo.
Mentre l’indagatore osserva le opere esposte, fotografie perlopiù, una figura cattura la sua attenzione, irretendola immediatamente: è una delle ragazze che abbiamo visto nelle immagini iniziali. Di lì a poco si scoprirà che ciò che ha visto Dylan non era altri che un sogno perso nel mondo reale e che la ragazza è sparita.
“Siamo in due, la mia parte oscura e io” – Dario Argento
Superficialmente potremmo definire Profondo Nero come la storia di questa scomparsa. Ma essa è un mero espediente per scavare sotto questa superficialità e giungere, per l’appunto, ai meandri più reconditi dell’animo umano. Ambizioso, dunque, ma era proprio ciò di cui Dylan aveva bisogno: un ambizioso ritorno agli albori del passato.
Il torbido e sessuale descritto nell’albo procede esattamente verso questa direzione e risulta palese anche da un punto di vista grafico. I disegni di Corrado Roi catturano brillantemente le intenzioni dei due sceneggiatori traducendoli in immagini gravi ed evanescenti, avvolte dal silenzio (inusuale ma graditissimo) e dall’ombra.
Un albo degno di essere letto ma che lascia l’amaro in bocca: sembrerebbe quasi che Dylan Dog abbia bisogno di un supporto esterno, per recuperare la vis dell’antica fiamma.
Si spera che l’ispirazione “argentea” abbia lasciato qualche traccia a casa Dog.
P.s. Meraviglioso il riferimento prezioso erudito all’etera Laide (nome d’arte della ragazza scomparsa), nelle due versioni del racconto, quella corinzia e sicula.
[..] Con i capelli che scendono da un lato e dall’altro a coprire il candido collo, come si diceva che si avvicinassero al talamo la bellissima Semiramide e Laide amata da molti uomini. (Ovidio, Amores, 1, 5, 10-12).