(In collaborazione con Mediterranean Affairs)
La Libia è nel caos sociale. L’assenza di un potere centrale forte e insignito della legittimazione popolare ha riportato prepotentemente in auge dinamiche in parte sopite durante la lunga era Gheddafi (1969-2011). Per comprendere il quadro sociale odierno è necessario puntare l’obiettivo su due fattori interni e strettamente legati l’uno all’altro – quello clanico-tribale e quello degli attori non statali (con particolare riferimento alle milizie) – che vanno inevitabilmente a condizionare anche la già notoriamente complessa situazione socio-politica regionale.
Il fattore clanico-tribale – Per tribù s’intende “una divisione sociale tipica di una società tradizionale che si compone di gruppi di famiglie o comunità che condividono valori e norme”.
Nel corso della storia libica il ruolo delle tribù – e in particolare il rapporto dei clan con il potere – ha conosciuto fasi alterne. Nella ‘prima’ Libia, quella della monarchia senussita, i gruppi tribali hanno costituito la base sulla quale si è retto il potere di Idris I, con i capi dei singoli clan aventi rapporto diretto con il sovrano nelle vesti di veri e propri consiglieri. L’avvento di Gheddafi, nel settembre del 1969, ha smantellato questo sistema clientelare. In seguito alla ‘rivoluzione verde’, si è definito un nuovo sistema di comando del Paese: il leader carismatico, insignito di un redivivo cesarismo, saldamente al comando, con le sole tribù di Warfalla e al-Magharba alleate e coinvolte nelle dinamiche politiche.
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La fine dell’era Gheddafi – dovuta, anzitutto, proprio alla rivolta delle tribù contro il regime – ha coinciso con l’ingresso istituzionalizzato dei clan nelle stanze del potere, avvenuto in concomitanza delle prime elezioni democratiche, tenutesi nel luglio del 2012.
Photo by thierry ehrmann – CC BY 2.0
Se nel corso del Novecento e dei primi anni Duemila l’accesso al comando delle tribù ha conosciuto fasi alterne, viceversa non è mai venuto meno il loro ruolo redistributivo. Ai clan, infatti, è stata costantemente affidata, dal governo, l’assegnazione di parte dei proventi petroliferi al popolo. Guardando agli scenari futuri, è possibile individuare nelle tribù – nelle quali i libici, poco sensibili ai sentimenti nazionalistici, continuano a identificarsi – ruoli di stabilizzazione e di inserimento negli enormi vuoti di potere venutisi a creare.
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Nel quadro attuale, le maggiori entità tribali libiche sono ben distinguibili: al-Rijban, Awlad Busayf, al-Zintan e Warfalla in Tripolitania; al-Abaydat, al-Awagir, al-Barasa, al-Fawakhir, al-Majabra, al-Zuwayya e Drasa in Cirenaica; al-Guwaid Syrte, al-Haraba, al-Hassawna, al-Hutman, al-Magharba, al-Qaddadfa, al-Riyyah, al-Zuwaid, Toubou e Tuareg nel Fezzan.
Gli attori non statali: le milizie – I principali attori non statali, vale a dire le milizie, vanno a intrecciare prepotentemente le loro realtà con quelle claniche, risultando legate all’una o all’altra tribù. Proprio il loro connubio con i clan fa sì che questi gruppi di combattenti abbiano sinora rifiutato di consegnare le armi utilizzate durante la guerra civile contro Gheddafi. La mancata restituzione degli armamenti va di pari passo con il rifiuto di integrarsi in un nuovo Esercito nazionale che, per queste ragioni, stenta a formarsi.
A ciò si aggiunge un ulteriore dato di assoluto rilievo. Una consistente parte dei fondi assegnati dal governo al potenziamento delle Forze Armate viene destinata dal ministero delle Difesa alle milizie, per un’intuibile ragione: tenerle a bada evitando che compiano atti destabilizzatori nei confronti del potere costituito. Tuttavia, così facendo, i combattenti non solo si garantiscono una forma certa di finanziamento, ma riescono di fatto anche a tenere sotto scacco la politica libica.
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Le principali milizie sono oggi le famigerate CORL (Cellule per le Operazioni dei Rivoluzionari Libici), la Brigata dei Martiri del 17 febbraio, che dispone di dodici battaglioni e di un ampio arsenale conseguito tramite il controllo di numerose caserme in Cirenaica, la Brigata dei Martiri di Abu Salim, composta perlopiù da ex combattenti jihadisti, e il Consiglio Militare di Zintan, forte di circa quattromila uomini distribuiti in cinque brigate.
Photo by David Stanley – CC BY 2.0
Slegate da legami con il potere centrale sono invece le milizie di Misurata – entità amministrata, di fatto, come una sorta di città-stato dove spicca, su tutte, la Brigata Sadun al-Suwayli – e Ansar al-Sharia. Quest’ultima è cellula pienamente integrata nel quaedismo internazionale, vantando legami con l’intero network terroristico regionale: dall’AQMI (al-Qaeda nel Maghreb Islamico) all’omonima Ansar al-Sharia tunisina.
Quella delle milizie è certamente la prima questione da risolvere per il governo, a meno che – ed è impossibile escluderlo – siano proprio le brigate ad assumere, in un futuro più o meno prossimo, il potere in maniera diretta.
L’impatto regionale – Sul piano regionale, l’attuale situazione sociale libica condiziona profondamente i rapporti con le principali entità dell’area. Con l’Egitto, dopo l’avvicinamento coinciso con l’affinità dei governi di Morsi e del Partito Giustizia e Costruzione, la situazione è mutata con l’avvento, nel luglio 2013, di al-Sisi. Attualmente, Il Cairo guarda con grande preoccupazione ai crescenti legami fra gli islamisti libici e quelli egiziani, che sempre più spesso trovano accoglienza in Cirenaica.
Diversi accordi economici e di sicurezza sono stati invece siglati con la Tunisia, che come la Libia sta cercando di epurare le vecchie élites, aprendo una nuova pagina della sua storia. La creazione di un’intesa solida fra Tripoli e Tunisi potrebbe modificare l’equilibrio geopolitico del Nord Africa, soprattutto a discapito dell’Algeria, i cui rapporti con i libici sono gelidi dal 2011, a causa di un presunto sostegno fornito a Gheddafi durante la rivoluzione. Similmente a quanto fatto dall’Egitto, comunque, anche la Tunisia si è recentemente detta preoccupata dell’instabilità che sta vivendo la Libia, nel cui caos ben si celano gruppi radicali provenienti dal confine di nord-ovest.
Matteo Anastasi
(Mediterranean Affairs – Editorial board)
Immagine in evidenza: Photo by Catrin Austin – CC BY 2.0