Autostrade: una privatizzazione (a debito) di successo, ma non per gli utenti

Pubblicato il 25 Agosto 2018 alle 14:42 Autore: Giovanni De Mizio
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Autostrade: una privatizzazione (a debito) di successo, ma non per gli utenti

[qui la prima parte]

Lo Stato privatizzò il Gruppo Autostrade nel 1999, dopo anni di mercanteggiamenti, e fu la migliore privatizzazione del settore, dal punto di vista dello Stato. Fu una delle poche in cui i concessionari sborsarono soldi sonanti.

Schemaventotto S.p.A., controllata al 60% da Edizione Partecipations, cassaforte della famiglia Benetton, acquisì la quota di controllo del Gruppo Autostrade (circa il 30%). I Benetton pagarono all’IRI 5000 miliardi di lire (circa 2,6 miliardi di euro dell’epoca). Il restante 70% fu quotato in borsa: in totale lo Stato incassò dalla vendita poco meno di 14 mila miliardi di lire.

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Autostrade: l’OPA di Benetton (e delle banche)

Nel novembre 2002 una società veicolo di nome Newco28 controllata da Schemaventotto lanciò un’Offerta Pubblica di Acquisto (OPA) su tutte le azioni non in possesso di Schemaventotto. Newco offrì 9,5 euro ad azione, offerta poi aumentata a 10 euro, per un totale di 8,4 miliardi di euro. Questi soldi non furono messi dai Benetton, bensì dalle banche, che concessero a Newco 9,2 miliardi di euro di prestiti per pagare le spese. Niente di nuovo: le privatizzazioni finivano spesso in questa maniera.

Alla fine dell’operazione Newco28 aveva in mano il 54% di Autostrade e oltre 7 miliardi di debiti. Subito dopo l’indebitata Newco28 si fuse con Autostrade. Le operazioni di questo tipo si chiamano Leveraged Buy Out (LBO): la società acquistata viene “costretta” a usare i propri flussi di cassa per pagare i debiti della società che l’ha comprata.

Autostrade creò una nuova società, Autostrade per l’Italia S.p.A., operativa dal primo luglio 2003, a cui trasferì cespiti per oltre 8 miliardi, a fronte di un valore di bilancio inferiore a 1,8 miliardi. Autostrade per l’Italia S.p.A., attraverso alcune operazioni con le banche, si ritrovò così con un surplus (di carta) di 6,5 miliardi, immediatamente girato alla società madre, Autostrade S.p.A. (ex Newco28).

Autostrade: l’investimento di Benetton è già ripagato

Questi soldi finirono alle banche che avevano prestato i soldi per realizzare l’OPA dei Benetton, che in cambio ristrutturarono il debito di Autostrade per l’Italia (ovvero la controparte dei 6,5 miliardi di carta di prima). I Benetton vendettero sul mercato il 12% di Autostrade S.p.A., rientrando immediatamente dei 2,6 miliardi dati allo Stato nel 1999. Le banche, invece, incassavano una parte dei ricavi da pedaggio come rimborso e servizio del debito. I Benetton si erano assicurati con facilità una bella rendita.

Nel 2006 i Benetton tentarono di creare un grande gruppo internazionale attraverso la fusione con l’omologa spagnola Abertis (un po’ come è avvenuto con FIAT e Chrysler: oggi FCA è praticamente un gruppo estero), ma per l’opposizione dell’allora ministro delle Infrastrutture Antonio Di Pietro, preoccupato per i conflitti di interesse che la fusione avrebbe generato, non se ne fece nulla. Questa storia, comunque, è un’altra storia, non ancora conclusa.

A parte questo tentativo, le Autostrade sono sempre rimaste in Italia. Nel 2012 Schemaventotto, società italiana che controllava Autostrade S.p.A. (che dal 2007 si chiama Atlantia) si fonde con Sintonia S.p.A., società nata in Lussemburgo nel 2009, ma trasferita in Italia nel 2012. Sintonia è posseduta al 100% da Edizione S.R.L., cassaforte dei Benetton con sede a Treviso.

I Benetton si ritrovarono così padroni di circa metà della rete autostradale italiana, e furono fra i pochi che versarono davvero soldi allo Stato e alla rete autostradale. In molti altri casi i concessionari, sia pubblici che privati, stanno guadagnando su pedaggi che dovrebbero essere quasi a zero. Inoltre, approfittando dei flussi di cassa di questo monopolio naturale, i concessionari hanno continuato ad acquistare altre società nel settore, creando imperi autostradali sborsando poco o nulla.

[continua]

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