Negli ultimi giorni lo spread è tornato a fare paura, sfondando in data 10 aprile quota 400 punti base e sollevando importanti interrogativi tanto sull’esistenza di un disegno – alcuni direbbero complotto – da parte del sistema finanziario internazionale e perpetrato dai governi di destra del Vecchio Continente quanto, con crescente angoscia, sulla reale utilità dei pesanti sacrifici imposti dal Governo Monti alla popolazione in termini di pensioni e stato sociale.
[ad]Ad alimentare le più disparate teorie complottiste è la concomitanza dell’impennata del differenziale con i bund tedeschi con le modifiche introdotte dal Governo sulla riforma del lavoro: in effetti, è innegabile che a seguito della retromarcia dell’esecutivo sul tema dei reintegri a seguito dei licenziamenti per motivazioni economiche siano iniziate critiche severe al nostro Paese da parte delgotha del capitalismo mondiale, ben sintetizzate dall’articolo Surrender, Italian Style apparso sul Wall Street Journal del 5 aprile 2012 (per i non abbonati, disponibile in forma integrale su Astrid On-linecorredata della risposta di Monti del 7 aprile).
Vedere nell’aumento dello spread una sorta di ricatto con cui tenere in scacco il nostro Paese fino alla completa demolizione del welfare duramente conquistato nelle precedenti generazioni e alla cessione o dismissioni delle attività produttive rilevanti è un’ipotesi che assume quindi maggiore credibilità, e che si porta dietro una serie di implicazioni potenzialmente devastanti: Monti inviato della finanza mondiale per dismettere il Paese, Italia colonia dei Paesi del Nord Europa, macchinazione delle destre mondiali per la destrutturazione del welfare state, e via dicendo.
Tuttavia, per comprendere meglio le dinamiche del fenomeno, è necessario affrontare il tema con razionalità, partendo proprio dallo spread, indice numerico e come tale confrontabile, misurabile e verificabile. Solo osservando il reale movimento di questo indice sarà possibile imporre dei confini logici alle comunque personali interpretazioni sulle cause del suo andamento.
Andamento dello spread italiano (2011-2012) |
L’andamento dello spread degli ultimi due anni ben evidenzia l’andamento della crisi, i picchi raggiunti immediatamente prima delle dimissioni di Berlusconi, il primo forte ed effimero calo in concomitanza con la presentazione del Salva-Italia e la successiva, risalita, la netta discesa del primo scorcio del 2012 e la paura delle ultime settimane culminata con lo sfondamento di quota 400.
Già da questa tipologia di grafico è possibile eseguire alcune interessanti analisi: in primo luogo, infatti, è possibile evidenziare quale sia stato il ruolo di Monti nella gestione della crisi italiana. Nella figura che segue, infatti, sono state aggiunte le linee di tendenza calcolate sia sul dato complessivo sia sui valori precedenti al 12 novembre 2011.
Andamento dello spread italiano (2011-2012) con linee di tendenza al 12/11/2011 e al 10/04/2012 |
Utilizzando una semplice interpolazione lineare si vede come Monti, sebbene non sia riuscito ad invertire la tendenza crescente del nostro differenziale, sia quantomeno stato in grado di ridurre sensibilmente il nostro tasso di crescita di circa il 25%. Interpolazioni di grado più elevato mostrano risultati concordi nell’attribuire a Monti un valore positivo per l’andamento delle casse dello Stato, e se di grado pari individuano nell’andamento degli ultimi mesi quella tanto agognata inversione di tendenza verso una situazione di stabilità finanziaria.
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Informazioni supplementari volte a capire quanto la causa della recente risalita dello spread sia legata a fattori di politica interna possono venire se la situazione italiana viene affiancata a quella di altri Paesi europei, come riporta il grafico sottostante.
Andamento dello spread belga, spagnolo, francese e italiano (2011-2012) |
Come emerge dal grafico, l’Italia per lungo tempo ha avuto un ritmo di salita dello spread maggiore di quello degli altri Paesi europei, tendenza ben evidenziata tanto dall’andamento dei grafici, che in Italia presenta alcune disparità rispetto agli andamenti tutto sommato proporzionali di Spagna, Francia e Belgio, e soprattutto dal confronto con la Spagna, che per per ragioni tanto di dimensione economica quanto di andamento del grafico ben si presta ad un confronto specifico con il nostro Paese.
Rapporto tra lo spread italiano e quello belga, spagnolo e francese (2011-2012) |
Dal momento che i Paesi con spread maggiore sono anche quelli che presentano maggiore volatilità del dato, più che un differenziale diretto tra l’Italia e gli altri Stati europei è interessante osservare il grafico dei rapporti tra lo spread del nostro Paese e quello di Francia, Belgio e Spagna nel corso degli ultimi due anni.
[ad]I dati sono evidenti: se l’Italia ha nettamente perso terreno nei confronti di Bruxelles, nei confronti di Madrid e Parigi i numeri si fanno più interessanti. Nel confronto con la Francia si nota un andamento altalenante con grandi picchi di variabilità, che tuttavia solo dal mese di ottobre 2011 diventa favorevole al nostro Paese e si concretizza in un reale movimento discendente. In generale, in un anno il nostro spread è passato dall’essere il quadruplo di quello francese ad esserne appena il triplo.
Nel confronto con la Spagna l’Italia mostra invece un costante peggioramento fino a dicembre 2012, momento in cui la rotta si inverte e che a marzo 2012 si traduce con il sorpasso dei BTP italiani suibonos spagnoli.
Ancora più importante, in questo grafico dei rapporti è evidente come i dati di queste ultime settimane mostrino un andamento sostanzialmente stazionario, mostrando come la netta risalita dello spread italiano non sia legata a fattori di politica interna, ma sia invece da attribuire a fattori macroeconomici legati, nel dettaglio, ai dati dell’occupazione statunitense, alle previsioni di crescita cinesi e dal buon momento della Germania, che riesce a piazzare i propri titoli a interessi particolarmente bassi, così come riporta l’agenzia di stampa Reuters.
Naturalmente, nulla di tutto ciò può sminuire l’entità del rischio che incombe sul nostro Paese: la montagna di debito pubblico su cui sediamo è un luogo scomodo e pericoloso, sempre più difficile da finanziare in maniera sostenibile. Tuttavia quello che emerge delinea bene quali sono le responsabilità di una simile situazione: non già di un’oscura macchinazione o di una volontà di svendere e far fallire il Paese, ma dell’incoscienza di chi, per foraggiare i propri bacini elettorali, fece esplodere il debito pubblico negli anni ’80 scaricando sulle future generazioni – noi – il problema di ripianare le folli spese di quegli anni.
Al di là delle differenti strategie per uscire dalla crisi e delle diverse ricette politiche per rimettere in piedi l’Italia, accettare le responsabilità nazionali per la situazione in cui ci troviamo deve essere il primo passo che tutti – politici e cittadini – dobbiamo compiere per disegnare un futuro migliore e fare scelte più consapevoli rispetto a chi ci ha preceduto.