Greta e Vanessa, l’utopia dei vent’anni e gli insulti sulla rete
Di Greta Ramelli e Vanessa Marzullo non si hanno più notizie da oltre una settimana. Le due ragazze, rispettivamente di 20 e 21 anni, sono partite lo scorso 28 luglio. Direzione Aleppo, città meravigliosa e antichissima, patrimonio dell’Unesco, dove la storia ha l’odore di cinque millenni. Ma quello di Greta e Vanessa non è un viaggio di piacere, tantomeno una vacanza-studio. Aleppo da un anno a questa parte è teatro di sanguinosi massacri, sventurata protagonista di quelle tante guerre in cui non avrai mai la certezza di attribuire da una parte la ragione e dall’altra il torto.
Modelli sociali nati su basi etiche, religiose e culturali totalmente differenti rispetto alle nostre, fanatismi religiosi, sistemi politici segnati da fratture incomprensibili a noi occidentali, così abituati alle semplici logiche dicotomiche. Le due ragazze ne sono ben consce, nonostante la giovane età non è la prima volta che intraprendono avventure simili. A marzo erano già state in Siria; Greta – che studia da infermiera – può contare dalla sua parte anche esperienze umanitarie in India e in Africa. Recentemente avevano persino fondato una onlus, Progetto Horryaty, il cui scopo è quello di raccogliere fondi e sensibilizzare i cittadini. “In Turchia compriamo gli aiuti e in Siria li gestiamo e distribuiamo in zone diverse”, si apprende dalla pagina facebook della onlus.
A qualsiasi età, per poter dedicarsi anima e corpo ad aiutare chi ha bisogno, è fondamentale avere una grande forza di volontà. Ma per farlo a soli vent’anni serve anche passione, tanta ostinata passione. Quella passione che ti spinge a racimolare fondi tra gli amici, nel vecchio liceo, nella parrocchia e ad impegnare quel poco tempo libero lavorando nella trattoria di famiglia, come fa Greta da anni.
Quella passione che talvolta, purtroppo, prevale su tutto, e che ti porta a compiere gesti imprudenti. Ragionare sull’avventatezza di una scelta, in casi come questi, è fin troppo banale. Purtroppo, però, da qui a trasformare una vicenda drammatica in uno sfogatoio per le proprie frustrazioni è un attimo. Perché, a prescindere dalle divergenze ideologiche e comportamentali, non è ammissibile che venga meno il rispetto per una persona che mette a rischio la propria vita per fare il volontario in zone di guerra.
Si parla di cattivi maestri, di amicizie sbagliate, di filo-terroristi. E tornano alla mente vicende analoghe, come il rapimento delle due cooperanti Simona Torretta e Simona Pari, rapite in Iraq nel settembre del 2004 e liberate dopo 19 giorni di detenzione. Poche settimane prima, stessa sorte non toccò purtroppo al giornalista Enzo Baldoni, assassinato da fondamentalisti islamici e oggetto di derisione da parte di una certa stampa. L’anno successivo un’altra giornalista, Giuliana Sgrena del Manifesto, venne sequestrata a Baghdad; lei fu liberata, ma sulla strada del ritorno verso l’aeroporto della capitale irachena, in circostanze rimaste ancora avvolte dal mistero, fu assassinato il militare Nicola Calipari, incaricato di scortare la giornalista. Per non parlare di Vittorio Arrigoni, massacrato dai jihadisti nel 2011, sul quale si continua a ironizzare a tutt’oggi.
Anche stavolta, il caso delle due giovanissime volontarie viene accompagnato, sulla rete e non solo, da pesanti derisioni, insulti gratuiti e commenti pressappochisti. C’è chi parla di mancanza di buon senso. Ebbene, chi a vent’anni fonda una onlus per salvare vite sconosciute dall’altra parte del Mediterraneo non può non avere buon senso. Chi coltiva l’utopia di cambiare un po’ questo mondo di guerra e ingiustizie, non può non avere buon senso. Passino le “accuse” di ingenuità, di imprudenza, di idealismo – a patto che possano essere considerate offese.
Ma titoli di giornali come “Altre incoscienti da salvare” non aiutano. Scrivere su facebook che i soldi di un eventuale riscatto dovrebbero pagarli i rispettivi sprovveduti genitori – come ha fatto l’assessore varesino che in tempi non sospetti elogiava Assad, incitandolo a resistere – oltraggia il dolore di due famiglie da giorni assalite da angoscia e, come è naturale che sia, da materni e sensi di colpa. Scrivere che Greta e Vanessa sono partite “per farsi i selfie con i ribelli”, parlare di esibizionismo, alludere persino a volgari riferimenti sessuali, oltre a far inorridire, dimostra con quanta leggerezza e disinformazione vengono considerati temi cruciali per l’attuale fase geopolitica, come può essere la cooperazione internazionale.
Forse chi scrive queste cose non è al corrente del fatto che nelle università italiane sono istituiti ormai da anni corsi di laurea come “Cooperazione internazionale allo sviluppo”, “Diritti dell’uomo ed etica della cooperazione internazionale”, “Cooperazione internazionale e trasformazione dei conflitti”. Forse chi invita ad abbandonarle al loro destino, impegnato com’è a demonizzare sulla base di (pre)giudizi pseudo-ideologici, non ha minimamente idea di cosa significhi portare conforto materiale e psicologico ad un popolo senza pane né sogni. Forse chi le irride ignora l’importanza di organizzazioni quali Emergency o Medici Senza Frontiere – tanto per citare le più note – all’interno di contesti bellici.
Conviene sperare che pubbliche riflessioni di questo genere siano soltanto frutto di una conoscenza dei fatti scarsa e superficiale. Posto che comprendere le inestricabili dinamiche politico-sociali del Medio Oriente non è facile – e chi scrive non ha certo la pretesa di insegnare alcunché in materia – cadere nella trappola dell’inciviltà non è accettabile per un paese normale. Una volta tanto, proviamo anche noi a restare umani.