“Il ministro Lorenzin non può dire ‘fermatevi’ sulla fecondazione eterologa. La Corte Costituzionale ha stabilito che è vietato vietarla”. Il presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi, in due interviste rilasciate a Repubblica e al Corriere della Sera, annuncia che non ci sarà nessun dietrofront sulla delibera con cui si autorizza la pratica della fecondazione eterologa nei centri della Regione Toscana pagando solo un ticket di 500 euro. “Se la nostra delibera sarà impugnata, ci difenderemo. Se non sarà appellata andremo avanti”, aggiunge Rossi che rifugge ogni polemica con il governo e precisa: ” Se arriveranno cittadini da altre Regioni le nostre strutture li accoglieranno. Però mi auguro anche il resto del Paese segua quanto ha detto la Corte”.
Lo stop al decreto legge sulla fecondazione eterologa era arrivato venerdì scorso. Il Consiglio dei Ministri aveva rimandato a settembre la discussione sul testo che avrebbe dovuto regolamentare il procedimento di fecondazione artificiale effettuato con ovuli di donatori esterni alla coppia. “Una materia troppo importante e complessa – avrebbe sottolineato il premier Matteo Renzi – un tema dal profilo etico e morale” sul quale è bene che si pronunci il Parlamento. Su suggerimento del Presidente, il Consiglio dei ministri aveva votato all’unanimità per il rinvio, costringendo il ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, ad archiviare la bozza di legge sulla quale stava lavorando da settimane insieme a tecnici del ministero. Un dietrofront inaspettato contro il quale si sono già scagliati medici e associazioni favorevoli all’introduzione della pratica nelle strutture sanitarie pubbliche e private. “Il vuoto normativo c’è e il governo intende colmarlo”, ha ribadito ieri il ministro Lorenzin in un’intervista a Repubblica. “Il ritiro del decreto legge non è una sconfitta – ha chiarito il ministro – ora tutti si fermino o sarà il caos”. Lorenzin invoca lo stop per i centri in cui la fecondazione eterologa viene già praticata. Serve tempo per regolare la materia ed è bene che, in assenza di normative, chi già sperimenta questa pratica si fermi per evitare problemi giuridici e sequestri da parte dei Nas.
Già, perché, per la responsabile della Salute non basta la pronuncia della Corte Costituzionale che, lo scorso aprile, aveva dichiarato illegittimo il divieto imposto alla fecondazione eterologa e contenuto nella legge 40. Una sentenza in virtù della quale molti centri specializzati, da Milano a Roma, hanno cominciato da mesi a proporre tale pratica a coppie di genitori impossibilitati ad avere un figlio per via naturale, poiché ritengono che la sentenza della Corte sia sufficiente a permettere sul territorio italiano la fecondazione eterologa. In realtà, solo le Regioni potrebbero autorizzare centri pubblici e privati ad assistere le coppie per l’eterologa. Finora solo la Regione Toscana ha fornito i permessi, nonostante lo stesso ufficio legale regionale abbia bocciato la delibera perché recepisce una direttiva europea che soltanto lo Stato centrale ha facoltà di recepire e convertire in legge. Contrasti, quelli fra le strutture sanitarie e il governo, che contribuiscono ad alimentare il caos e rischiano di creare un nuovo caso Stamina. Al momento il ministero si riserva di ricorrere alla Corte Costituzionale contro la delibera della giunta guidata da Enrico Rossi. Nel frattempo i nodi da sciogliere restano tanti e non solo sul fronte giuridico. A far discutere i contenuti e le modalità con cui l’eterologa dovrebbe essere praticata. Fra questi, la “compatibilità di razza” tra donatori e riceventi, il colore della pelle e il livello di essenzialità della pratica nell’ambito del servizio sanitario nazionale. Il decreto Lorezin, a giudizio degli addetti ai lavori, avrebbe rappresentato un ottimo punto di partenza per regolamentare finalmente questo tipo di fecondazione. Nel testo previste diverse misure: anonimato dei donatori e tracciabilità del materiale genetico, registro dei donatori e tetto massimo di dieci figli per ogni soggetto donatore. Previsti anche limiti di età: 18-40 anni per gli uomini e 20-35 per le donne. Contemplato anche il divieto per la donazione di cellule riproduttive fra parenti fino al quarto grado. Un patrimonio che, a parere di associazioni e medici, non dovrebbe andare disperso nel caso in cui la discussione dovesse approdare in Parlamento.
Carmela Adinolfi