La partita delle riforme costituzionali da settembre si giocherà al Senato e non sarà una passeggiata, ma un primo bilancio si può fare. Lo facciamo con Gaetano Quagliariello, già ministro ad hoc nel governo Letta. Per lui il percorso di riforma deve continuare, anche se resta qualche aggiustamento da fare, soprattutto sull’elezione del Presidente della Repubblica (“Occorre riflettere a mente serena”).
Sulla partita della legge elettorale, il senatore del Nuovo centrodestra non cede sulle preferenze (“Inaccettabile avere una camera eletta in secondo grado e una di nominati”); nell’agenda politica, poi, concorda con il ministro dell’interno Alfano sulla necessità di intervenire sull’articolo 18 (“Sarà il caposaldo di una riforma che renderà più elastico il mercato del lavoro).
Senatore, la prima delle letture di questa revisione costituzionale è archiviata, eppure solo una decina di giorni fa sembrava che al dialogo si dovesse fischiare la parola fine. Cos’è accaduto secondo lei?
Mettiamola così: non è facile svolgere un dibattito di questa importanza e profondità in aula, anche per questo si era pensato alla soluzione di un comitato. In aula dunque in molti momenti è prevalso per forza di cose il muro contro muro, però alla fine si è tenuto perché l’impianto costruito in gran parte in commissione era solido e ha retto.
Da un certo punto di vista è parso che qualcuno, a partire da Renzi, volesse perseguire questo disegno di riforma a tutti i costi (nonostante le proposte di dialogo, ma ben circostanziate) e che altri all’opposizione fossero contrari tout court a questo intervento. Le è parso questo? Non c’è qualcosa di sbagliato in entrambe le posizioni?
Penso che una Costituzione sia un meccanismo complesso di pesi e contrappesi: toccando un aspetto, inevitabilmente le conseguenze si ripercuotono su altri. Così, inevitabilmente, toccando il nostro bicameralismo – che nel 1947 era nato come meccanismo per garantire che nessuna vittoria fosse definitiva e assoluta – si sono avvertite alcune eventuali conseguenze di questa scelta, ad esempio sull’elezione del Presidente della Repubblica, sul possibile strapotere della maggioranza e su un ruolo eccessivo del Presidente del Consiglio. Non sono notazioni del tutto destituite di fondamento, ma si possono affrontare in due modi: o annacquando la riforma del bicameralismo, facendole perdere qualunque significato, oppure mantenendo la visione e ritenendo che i contrappesi vadano trovati su altre parti dell’ordito costituzionale.
Dove, ad esempio?
In particolare sulla forma di governo e sulla legge elettorale. Per questo c’è evidentemente bisogno di due cose: di mantenere una visione complessiva e che il progetto di riforma non si fermi, ma vada avanti investendo anche questi aspetti. Noi del Nuovo centrodestra abbiamo scelto questa strada: piuttosto che nutrire dubbi e cercare di edulcorare la riforma, vogliamo provare a essere più riformisti dello stesso premier, sia per quanto riguarda la vastità della proposta, sia quanto alla sua profondità.
Con lei ancora al ministero per le riforme, il cammino sarebbe stato più spedito?
No, vede, io penso di avere svolto una parte di lavoro seria: se lei prende i lavori della Commissione degli esperti che si è riunita sotto la mia direzione, li può veramente intendere come lavori preparatori di questa riforma.
Quindi lei il suo contributo l’avrebbe già dato…
Sui lavori preparatori sì. Poi il cammino non sarebbe stato più spedito: io riesco a riconoscere le esigenze del tempo politico. Questa riforma nasce anche da alcuni grandi cambiamenti avvenuti nella vicenda politica: il primo è stato il cambio del Presidente del Consiglio, il secondo è stato il rientro di Forza Italia nel cantiere delle riforme. E’ evidente che questi due cambiamenti imponevano anche un cambio di ministro, non potevo essere io a completare il lavoro: devo dire che il ministro Boschi ha svolto molto bene il suo compito.
Certamente il nuovo Senato non somiglierà a quello attuale: ci sarà la corsa ai consigli regionali?
No, penso che il nuovo Senato risponderà a un’idea di rappresentanza differente, una rappresentanza funzionale: servirà a fare in modo che gli Enti territoriali, in particolare le Regioni, siano rappresentate nel procedimento legislativo principale, in modo tale che non si produca quel contenzioso permanente che è stato la cifra del rapporto Stato-Regioni a partire dal 2001, e che tanti danni ha provocato soprattutto alla nostra economia.
Ma per far venire meno il bicameralismo perfetto, non si sarebbe potuto optare per una soluzione “federale”, secondo il modello del Bundesrat tedesco o del Senato americano, con senatori eletti direttamente nelle varie regioni, magari tagliando i numeri di entrambe le Camere per sveltire le procedure?
Vede, le due ipotesi che mi propone sono molto differenti. Il Senato americano ha bisogno di un cambiamento radicale della forma di governo, come lei sa: c’è l’esecutivo da una parte e il legislativo dall’altra, non c’è una comunicazione, mentre noi abbiamo deciso di mantenere il sistema parlamentare, creando una sola Camera politica. Rispetto al modello Bundesrat, la vera differenza è che in Germania c’è uno stato federale compiuto, da noi no: per questo è difficile immaginare che la rappresentanza sia esclusivamente delle Regioni, senza tener conto delle distinzioni politiche che vi sono al loro interno. Siamo andati piuttosto verso un modello austriaco, dando al Senato grandi compiti di controllo e rappresentanza degli interessi locali, ma escludendo un suo ruolo politico: il rapporto di fiducia tra Senato e Governo infatti è saltato.
Sul piano delle competenze, si è preoccupato almeno in parte il suo collega di partito Sacconi, a proposito del voto che ha riesteso la competenza del Senato sulle questioni eticamente sensibili. Anche lei vede in questo una sorta di agguato laicista?
No, guardi, mi è sembrato piuttosto un “agguato al bilancio”: dietro quelle funzioni si nasconde la volontà di avere di nuovo un Senato che si occupi dei soldi della sanità. Questo invece è quello che il Senato non deve fare: questa riforma serve proprio a mettere il paese in una condizione migliore per affrontare il debito pubblico. Francamente il pericolo laicista non lo vedo: dare queste competenze al Senato al limite vuol dire dare una lettura in più su cose su cui la Camera andrebbe ancora più spedita.
Con la nuova configurazione dei numeri di Camera e Senato, con i deputati che non calano, però qualche problema forse obiettivamente c’è…
Il problema c’è per quello che riguarda l’elezione del Presidente della Repubblica.
Appunto.
Su questo occorre fare una riflessione a mente serena. Io credo che siamo di fronte a una sorta di paradosso: mentre l’elezione diretta del Presidente della Repubblica si poteva interpretare come un rischio plebiscitario, almeno fino a qualche tempo fa, con questa configurazione del bicameralismo parlare dell’elezione del Presidente della Repubblica diventa un modo per creare un contrappeso a un possibile strapotere della maggioranza, che magari vincendo le elezioni alla Camera potrebbe prendersi la maggioranza parlamentare, il Governo e il Quirinale.
Quindi di taglio del numero dei deputati non se ne parla?
Vede, dico solo che è necessario che la rappresentanza politica non sia più di tanto “penalizzata”: mi riferisco sia alla rappresentanza territoriale, sia alla rappresentanza delle varie correnti di pensiero presenti nel paese. Oggettivamente, tagliando il Senato abbiamo ridotto i rappresentanti politici all’incirca di un quarto: tagliando anche i deputati rischieremmo di avere una situazione in cui alcune parti del paese e soprattutto alcune correnti di pensiero anche con una certa consistenza non verrebbero rappresentate.
Eppure, immaginando un sistema proporzionale, se i deputati fossero 400 si configurerebbe uno sbarramento fisiologico circa del 2%…
Eh, ma comunque è necessario prevedere un premio di maggioranza e quindi il calcolo va fatto sempre sul 45% residuo, visto che il 55% va alla maggioranza che potrebbe essere composta da un solo partito.
La partita della legge elettorale, a questo proposito, è quella immediatamente successiva e in ballo ci sono le preferenze che vi stanno molto a cuore: per voi sono del tutto irrinunciabili?
Guardi, quello che non è sopportabile è pensare di avere il Senato eletto in secondo grado e una Camera di nominati: questo francamente non è pensabile.
Eppure in questi giorni c’è chi ha proposto soluzioni intermedie come il capolista bloccato…
Vanno bene tutte le soluzioni intermedie, nessuna chiusura in merito, purché siano soluzioni davvero intermedie e non siano dei “bidoni”. Pensi a un partito medio come il nostro, che prende 30-40 parlamentari: bloccando tutti i capilista, è come se avesse le liste bloccate.
Come si fa a neutralizzare il problema storico delle preferenze, ossia il possibile aumento delle spese?
Innanzitutto questo problema è stato già affrontato: le leggi più recenti recano una normativa molto stringente su questo aspetto. In secondo luogo, le preferenze ora esistono nelle elezioni comunali, regionali ed europee: non si capisce perché ci ricordiamo di questo problema solo quando parliamo delle preferenze a livello nazionale. Le preferenze non sono la panacea, ma davvero non si può avere un Parlamento in cui una camera è eletta in secondo grado e l’altra è piena di “nominati”. Punto e basta, perché il potere dei cittadini viene troppo compresso.
Nel centrodestra le acque si stanno muovendo e nel vostro partito c’è chi vuole costruire di nuovo qualcosa con Berlusconi, anche dopo le ultime aperture su riforme e dintorni, e chi è scettico: lei come si pone? Il legame FI-Lega la spaventa?
Vede, io penso che le scelte che ci hanno portato al governo non fossero sbagliate: il paese era in una grande difficoltà, questa difficoltà non è superata ed è assolutamente necessario andare avanti sulle riforme, sia quelle economiche sia quelle “dello Stato”. Noi dobbiamo semplicemente qualificare con più forza la nostra azione, come stiamo facendo in questi giorni. Se Berlusconi ci ripensa è un problema suo: non siamo certamente noi a dover essere calamitati. Detto questo, è altrettanto evidente che con forze che invece ora pensano che ci sia ancora lo spazio per giocare allo sfascio non c’è possibilità di dialogo.
Il ministro Lupi ha preso una posizione netta su eventuali proposte in tema di unioni omosessuali: lei è d’accordo con lui?
Credo che in questo ambito sia necessario garantire tutti i diritti personali, ma tenendo paletti ben fermi: una cosa sono i diritti personali, un’altra è il matrimonio, con i diritti che ne derivano.
Oggi Alfano è intervenuto sull’articolo 18, ritenendo necessario togliere di mezzo quanto prima un totem degli anni ’70. La pensa così anche lei? Crede davvero che sia questo l’ostacolo a nuove assunzioni e all’impegno degli investitori stranieri?
Credo che questa sia una proposta di effettiva liberazione del mercato del lavoro che va nella direzione di chi non ha alcuna tutela e, diciamo, è anche un simbolo: è necessario assolutamente rivedere il mercato del lavoro e renderlo più elastico, permeabile. Tutte le proposte fondate sul tentativo di creare più offerta sono di fatto fallite o hanno avuto scarso valore; è necessario tornare ad agire sulla domanda, per cui occorre semplificare e rendere più elastico il mercato del lavoro.
Eppure l’articolo 18 si applica a un ambito circoscritto di lavoratori: non ci sono altri interventi più urgenti o più efficaci secondo lei?
Io credo che intervenire sull’articolo 18 possa essere il caposaldo di una proposta che riguardi il mercato del lavoro e che implichi semplificazioni, elasticità e un fisco migliore per le aziende.
Nel futuro politico del Nuovo centrodestra c’è Mario Mauro?
Io credo ci sia un futuro politico comune per tutte le forze che oggi sono al governo e sono diverse dal Pd. All’interno di quest’ambito non ci sono conventiones ad excludendum.
Con quale simbolo, in quel caso?
Questo lo vedremo…