Prescrizione reati penali: quando scatta e come si può avere
Uno degli istituti del diritto penale che, in quest’ultimo periodo, ha animato il dibattito politico, è sicuramente quello della prescrizione del reato. Si tratta di un concetto ben noto sia in ambito penalistico che civilistico e ha la finalità di impedire la produzione di effetti penali, essendo una delle cause di estinzione del reato.
Interrogandosi sulla sua ratio, occorre precisare che il legislatore lo ha introdotto sulla base della certezza che, decorso un (più o meno lungo) lasso di tempo, venga meno l’interesse della giustizia a punire il presunto colpevole, dato che scomparirebbero le esigenze di prevenzione generale. Ciò anche perché, più il reato si allontana nel tempo, minore è l’efficacia rieducativa che la sentenza di condanna dovrebbe dare al reo. Un altro particolare di non poco conto è che questo istituto è fondato sul diritto dell’imputato a un giusto processo in tempi ragionevoli.
Il fattore temporale della prescrizione del reato
Circa l’aspetto temporale e come regola generale, per individuare con esattezza quali termini di prescrizione del reato si applicano ai diversi tipi di illecito penale, in generale occorre fare riferimento alla durata della pena edittale massima prevista per essi dalla legge. In ogni caso, la prescrizione non può essere inferiore a sei anni per i delitti e a quattro anni per le contravvenzioni. Pertanto, per rendersi conto di quando un reato si prescriverà, sarà necessario semplicemente far riferimento alla pena massima prevista dalla legge per il reato stesso.
Per quanto riguarda l’inizio della decorrenza della prescrizione, il codice penale opportunamente distingue tra reato consumato, tentato e permanente. Nel primo caso, infatti, il termine di prescrizione del reato decorre dal giorno della consumazione del reato, nel secondo caso dal giorno in cui è cessata l’attività del colpevole e nel terzo caso dal giorno in cui è cessata la permanenza.
Sospensione e interruzione della prescrizione del reato
Occorre precisare però che i termini di prescrizione del reato possono essere allungati. Ciò avviene grazie alla presenza, nell’ordinamento penale, degli istituti della sospensione e dell’interruzione. Secondo il legislatore, la sospensione blocca il decorso della prescrizione, il cui termine rimane bloccato fino a che la causa sospensiva non viene meno; a questo punto, la prescrizione riprende normalmente. A titolo di mero esempio, si può citare, tra le cause di sospensione, il cosiddetto deferimento della questione ad altro giudizio.
L’interruzione è ben diversa: anch’essa influisce sul decorso del termine di prescrizione del reato, però azzera il tempo decorso fino al momento della sua verificazione, tempo che comincerà a calcolarsi nuovamente dal principio. Tra gli esempi di casi in cui interviene l’interruzione, si può menzionare l’interrogatorio reso al PM o alla polizia giudiziaria e la richiesta di rinvio a giudizio.
Dato il rischio che l’interruzione possa allungare enormemente il decorso del termine, la legge dispone che in nessun caso i termini di prescrizione possono superare di oltre un quarto quelli previsti dall’ordinamento.
Casi di inapplicabilità
Non sempre però la prescrizione risulta applicabile. In caso di reati in cui il Codice Penale prevede la pena dell’ergastolo (anche solo come conseguenza di circostanze aggravanti), questo istituto non è applicabile. Ciò perché si tratta di reati di particolare gravità, verso cui l’ordinamento mantiene l’interesse alla punizione.
La rinuncia alla prescrizione del reato
È opportuno precisare che, oltre ad aversi la mancata produzione di effetti penali, il giudice non può scendere nel merito della vicenda e decidere se l’imputato sia colpevole o innocente. A seguito della prescrizione del reato, la persona che ne beneficerà sarà semplicemente prosciolta.
Tuttavia, è anche previsto che la persona interessata possa espressamente rinunciare ad avvalersi di questo istituto. Ciò può accadere perché l’imputato vuole dimostrare alla società di essere veramente innocente e anche per la convenienza ad ottenere una sentenza di assoluzione piena. Ne è un esempio il caso in cui, dopo una sentenza di condanna in primo grado, in appello l’imputato voglia rinunciare alla prescrizione del reato, in modo da evitare la condanna al risarcimento danni, qualora venga poi riconosciuta la sua innocenza.