“La carica dei 300 consulenti”. È il titolo di un’inchiesta curata da Caterina Maniaci, Enrico Paoli e Paolo Emilio Russo per Libero, avente ad oggetto – come intuibile dall’incipit– le spese del governo Renzi per consulenti ed esperti esterni chiamati per attività di supporto all’esecutivo.
Nel resoconto firmato dal giornale di Belpietro, si evidenzia come alle intenzioni non siano stati seguiti per ora i fatti. Uno degli obiettivi primari di Matteo Renzi nell’ambito della riduzione della spesa pubblica, sin dal suo insediamento, era infatti un consistente taglio alle consulenze stipulate da ministeri ed altri organi dello stato, comprese authorities ed enti pubblici non economici. C’è da dire che Renzi predicava un taglio deciso alla spesa pubblica già da anni, quando Palazzo Chigi non era altro che una velleità per un giovane sindaco di una pur importante città.
Lo stesso decreto sulla pubblica amministrazione firmato dal ministro Marianna Madia dispone che le retribuzioni per gli incarichi a soggetti esterni da parte delle amministrazioni pubbliche non possono superare il 90% di quanto speso nell’anno precedente (la quota iniziale era del 70%). E sono proprio Renzi e Madia tra i pochi ad essere “promossi” da Libero nella sua inchiesta. Il Presidente del Consiglio, infatti, avrebbe “sforbiciato qua e là” mentre il ministro della pubblica amministrazione può contare su un solo consulente, per di più non retribuito. Un ottimo esempio, soprattutto se teniamo conto che alla Madia è affidata la responsabilità di un ministero senza portafoglio, privo di una solida struttura burocratica tesa a supportare e tradurre in concreto le linee di policy dettate dall’alto.
Ma se Renzi e Madia passano l’esame, non accade altrettanto per gli altri membri dell’esecutivo. All’articolo, infatti, è allegato l’elenco dei consulenti legati ai vari dicasteri, con tanto di retribuzione annua. A farla da padrone, nonostante la sforbiciata, rimane la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Il capo segreteria tecnica di Palazzo Chigi, Francesco Rana (classe ’78) è il più pagato all’interno della suddetta lista, con un compenso lordo annuo di 150.000 euro. In ogni caso, come si evince cliccando sulla sezione “Amministrazione trasparente” del sito ufficiale della Presidenza del Consiglio, l’incarico di Rana sarebbe cessato lo scorso 14 febbraio.
Anche il Ministero dell’Interno può vantare un buon numero di consulenti, tra i quali risalta all’occhio il nome di Isabella Rauti, moglie di Gianni Alemanno, nominata da Alfano “consigliere per le politiche di contrasto alla violenza sulle donne”, con una retribuzione di 70mila euro l’anno. La nomina, come qualcuno ricorderà, suscitò ironie e polemiche, in quanto ufficializzata il 10 giugno 2013, stesso giorno in cui Alemanno fu sconfitto da Ignazio Marino alle elezioni comunali di Roma. Tra i consulenti figurano anche ex deputati come Sabrina De Camillis (già sottosegretario alla Presidenza del Consiglio durante il governo Letta) e Mauro Libè, parlamentare dal 2006 al 2013 in quota Udc.
Libero, poi, punta il dito contro il ministero dell’Economia guidato da Piercarlo Padoan (che avrebbe affidato all’economista Giuseppina Baffi una consulenza durata poco più di un mese e costata oltre 75mila euro) e il ministero degli Esteri, la cui titolare (ancora per poco, vista l’imminente nomina alla Commissione Europea) Federica Mogherini ha stipendiato un architetto per tutto il periodo del semestre europeo, pagato 45mila euro. Per ora, da parte dei diretti interessati, non sono arrivate risposte. È opportuno, però, che si prosegua con decisione lungo questo trend di progressiva riduzione di tali spese, considerando anche che il modello burocratico italiano – storicamente caratterizzato da una struttura pesante e da una eccessiva rigidità dei ruoli – necessita di un rinnovamento generale e immediato.