Affidamento condiviso: un’evoluzione che non è più possibile rimandare
Maggio 2018. Il “contratto di governo” impegnava i contraenti a riformare l’affidamento condiviso, nato con legge 54/06. Quest’ultimo fin dal primo anno di vigenza ha incontrato costanti resistenze – dalle semplici “incomprensioni” chiamiamole così; agli aperti boicottaggi – sfociate nel sistematico aggiramento della norma. La 54/06 si è quindi guadagnata l’appellativo di legge tradita; a causa della ritrosia di troppi tribunali nell’abbandonare il modello di affido monogenitoriale precedente alla riforma; restaurando di fatto ciò che il Legislatore del 2006 intendeva eliminare[1].
Da qui la necessità di una riforma-bis concretamente rispondente ai diritti dei minori; blindata contro i nostalgici del modello esclusivo, contro gli standard applicativi degli ultimi 40 anni, contro gli oppositori palesi ed occulti. Con la legge 54 la teoria c’era; la pratica no. Permettendoci di parafrasare Massimo D’Azeglio, giusto per rendere l’idea, nel 2006 avremmo potuto dire: lo strumento per la magistratura è fatto; ora bisogna fare i magistrati.
Affidamento condiviso: fatta la riforma, fare i giudici
Di cosa avrebbe bisogno oggi una nuova riforma per rendere effettivi i principi introdotti dal Parlamento ma aggirati dal sistema giudiziario?
Un impianto normativo che non lasci spiragli interpretativi agli oppositori, per consentire loro di replicare le storture applicative della 54/06; dunque, garantisca la simmetria dei genitori non tanto nella direzione di pari diritti quanto in quella di pari doveri, oneri, compiti di cura della prole. Poi, una norma che sgombri il campo da pregiudizi ideologici di ogni tipo, da quelli di genere a quelli sui presunti eventi traumatizzanti per la prole; oltre a garantire ai minori il diritto di essere ascoltati, senza che il loro parere venga liquidato come superfluo prima ancora di sapere cosa abbiano da dire.
Senza dimenticare di dettare tempi sostenibili, compatibili con le esigenze di tutti i soggetti coinvolti, adulti e minori. Perciò, una riforma articolata su una robusta cornice giuridica, liberata da quei concetti psico-sanitari che lasciano ampio margine di interpretazioni soggettive e quindi (come esperienza insegna) di impoverimento della riforma, Infine, una legge che preveda come ausiliari del giudice figure concretamente efficaci nel dare al giudice stesso le informazioni che richiede e/o di coadiuvarlo nel risolvere controversie e dirimere attriti.
Nulla di impossibile, insomma. Nelle precedenti legislature è già stata fatta una larga parte del percorso che porterebbe a un progetto di riforma efficace; anche attraverso anni di audizioni parlamentari con i contributi di diversi saperi e diverse discipline. Volendo si sarebbe potuto fare tesoro delle esperienze precedenti.
Affidamento condiviso: la riforma bambinocentrica
Oggi sembra farsi strada un’altra teoria; nel cestino l’enorme lavoro fatto, si ricomincia da zero con proposte nuove di zecca. È però impossibile tralasciare il cardine di qualsiasi norma che debba regolare i rapporti dei genitori separati: i diritti dei minori, il principio della bigenitorialità orgogliosamente definito “conquista di civiltà” e “riforma bambinocentrica” da Deputate e Deputati, Senatrici e Senatori che approvarono la 54/06.
Il fatto che solo all’inizio del secondo millennio si sia resa necessaria una legge per dire che per i figli è importante anche il padre, la dice lunga sull’humus culturale dei precedenti decenni. Padri nelle fabbriche e nei campi a procurare il pane per la famiglia; madri fattrici e balie a partorire e crescere cuccioli. Piaccia o meno, gli archetipi che nel secolo scorso hanno condizionato il sentire comune (quindi anche la magistratura) sono questi. E non è detto che sia finita col secolo scorso.
Quindi la principale rivoluzione che nasce dalla 54/06 è il riconoscimento del minore come soggetto di diritto; non più i diritti di un padre contrapposti a quelli di una madre, ma è il figlio ad avere diritto di frequentare entrambi.
L’interesse del minore
La definizione di interesse del minore, o meglio del diritto del minore che comprende anche il suo interesse non ha bisogno di capriole interpretative: la norma è chiara, necessita una lettura strettamente giuridica dell’art. 337 ter cc. (…): il minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori; di ricevere cura, educazione ed istruzione da entrambi (…)
Il bene tutelato è il Diritto del Minore e la norma è cogente in quanto ne deriva un obbligo inderogabile; la sequenza dei diritti del minore è collegata ad un rapporto equilibrato e continuativo. Il Legislatore utilizza la “e” che lega, quindi, non vi può essere l’uno in assenza dell’altra; l’equilibrio vive solo nella continuità.
Ne deriva che tempi e modalità di frequentazione non possono concretizzarsi in qualcosa d’altro rispetto ad un rapporto equilibrato e continuativo; lo squilibrio costituisce violazione della norma. Proprio in questo senso si è espresso molto chiaramente anche il Presidente del tribunale di Salerno col decreto n° 996 del 29 giugno 2017; un provvedimento che parla esplicitamente della illegittimità di un affido esclusivo di fatto, anche se “mascherato” da condiviso.
Pertanto il diritto della prole può concretizzarsi solo attraverso una suddivisione dei compiti di cura; con tempi il più possibile paritetici fra i genitori. Il più possibile paritetici, quindi ciò che (caso per caso) si avvicina all’uguaglianza.
Affidamento condiviso: il festival dei luoghi comuni
E qui si apre il sipario sul festival dei luoghi comuni, sul qualunquismo dozzinale, sugli stereotipi che inquinano il Diritto di famiglia; i figli come pacchi postali, palline da ping-pong, spicchi di arance, figli tagliati a metà stile Salomone, etc.
I maggiori studi scientifici internazionali sull’argomento[2] convergono su un dato; i danni da mancata stabilità affettiva e relazionale sono superiori per frequenza e gravità rispetto a qualunque inconveniente logistico.
Prevedere compiti di cura suddivisi con tempi si traduce quindi in una flessibilità che non ha nulla a che vedere con la divisione chirurgica di giorni, settimane o mesi. Suddivisione tendente quanto più possibile al 50%; senza ripartizioni matematiche a prescindere ma anche senza il concetto del minimo sindacale in assenza di fattori di rischio per quanto attiene alla capacità genitoriale.
Alla luce di queste considerazioni e dopo dodici anni di malpractice giudiziaria, è inderogabile dunque che il sistema italiano si evolva in modo definitivo, allontanandosi quanto più possibile da formule di affido esclusivo sotto mentite spoglie, puntando finalmente con decisione verso un vero affido condiviso.
Fabio Nestola – Direttore CSA “Centro Studi Applicati” di Roma
[1] Disapplicazione cronica della norma inizialmente denunciata e dimostrata da strutture di ricerca private, dal 2016 ufficialmente riconosciuta anche dall’ISTAT.
[2] Decine in tutto il mondo con centinaia di migliaia di minori analizzati, ma nulla di riferibile all’Italia, e non è un caso. Da noi è meglio non avere nulla di scientifico, permette di restare affezionati a postulati indimostrabili.