Affidamento: mantenimento diretto o delega della genitorialità?
L’attuale discussione sulle modifiche al diritto di famiglia sta assumendo toni accesi e provocando schieramenti di parte che spesso prescindono dall’argomento in questione. Nell’ambito di questa discussione, il DDL presentato di recente ed altri proposti in passato vorrebbero risolvere un problema serissimo; cioè, la mancata applicazione della legge 54/2006; quella che regolamenta l’affidamento dei figli e le condizioni di gestione degli stessi.
Paradossalmente, l’insieme di condizioni che hanno reso l’attuale legge la più inapplicata – di fatto – del nostro ordinamento (interessi di parte; pressappochismo culturale; disinformazione; retorica; arretratezza ed altri) è purtroppo la stessa chiave di discussione che si ripercuote in maniera identica nel dibattito sociale – dal bar ai social; fino ai media ed alle voci di molti “esperti” – contribuendo a confondere le idee su un argomento già di per sé complesso e sentito. Deviazioni logiche, distorsioni procedurali, interpretazioni arbitrarie hanno formato in questi dodici anni delle concrezioni che hanno del tutto stravolto i principi della norma e reso difficilissima una discussione serena.
Mai come in questo caso, dunque, nel fare chiarezza da un punto di vista tecnico – con la speranza di fornire ulteriori elementi di comprensione – ci si deve necessariamente rifare a dei principi basilari ed etici che, seppur per forza di cose personali, mettano in luce i punti cardine della questione ed aiutino a districarsi secondo una coscienza consapevole.
Affidamento: la cura ed il mantenimento
Uno degli aspetti fondamentali della cura dei figli è quello del loro mantenimento; inscindibile tra cura materiale in termini di tempo e impegno economico. Se difatti da un lato uno dei principali motivi della scarsezza di tempo da dedicare agli affetti è un oneroso gravame economico/lavorativo, dall’altra ogni momento materiale (si pensi ad esempio all’importanza dei pasti in comune; momento conviviale e di scambio per eccellenza) può essere fruito appieno proprio grazie ad una presenza reale e non surrogata.
Ecco quindi che il provvedere direttamente alle esigenze materiali è al contempo la dimostrazione della nostra attenzione, della nostra assunzione dei doveri derivanti dall’averli messi al mondo; una occasione di interazione, un modo per mostrare l’importanza e le priorità che riconosciamo ai vari elementi delle loro necessità ed il nostro modo personale per instradarli gradualmente all’assunzione della propria indipendenza.
Per questo motivo, il mantenimento diretto e quello indiretto, anche se apparentate possono sembrare simili (in fondo si mandano i soldi quindi ci si occupa di loro); in realtà, hanno due valenze etiche e pedagogiche opposte. Inoltre, il fatto che gli elementi sopra descritti agiscano diversamente nei due ex coniugi e di conseguenza costituiscano due mondi spesso profondamente differenti, purtroppo si chiama separazione. Probabilmente quelle due persone non si sarebbero separate se vivessero questi contesti in sintonia, ed il fatto che i figli li vivano anche in maniera diversa nelle due case è fisiologico e inevitabile, oltre che giustamente personalizzante.
Per fare di necessità virtù, più questa differenza di vedute e scelte è vissuta in maniera consapevole, accettata e rispettosa dell’altrui modo e meno di peso sarà per i figli.
Affidamento: il rapporto diretto
La specifica ricchezza e complessità del rapporto genitori figli, che mette insieme la crescita di un bambino alla crescita individuale di chi lo ha generato in una reciproca interazione a 360 gradi, che quindi investe ogni lato della nostra esistenza e ci forma profondamente prima come figli e poi come genitori, non può essere sfoltita, minimizzata o surrogata senza venire completamente snaturata.
Tale interazione quotidiana si basa, dal punto di vista pedagogico, su un insieme di esempi, comportamenti, scelte individuali del genitore-educatore, tutti volti a dare la nostra personale visione del mondo ed il nostro insegnamento.
Presenza, cura, scelte, pesi, necessità, priorità, interazione diretta, sono l’insieme che raccontano noi ai nostri figli e che ci rendono comprensibili, imitabili o contestabili nella nostra verità. Tale insieme di comportamenti non è surrogabile, appunto, né delegabile; pena la rottura di quella interazione diretta e lo smarrimento di uno dei riferimenti vitali. Insomma, pena l’allontanamento e la riduzione ad un mero rapporto anonimo.
Se questa rottura è già uno dei rischi primari delle separazioni, il delegare la cura, sia nei tempi che nelle questioni economiche, ne diviene la pietra tombale.
Il mantenimento diretto e quello indiretto
Semplificando, il mantenimento diretto è quella modalità secondo la quale ogni genitore provvede alle esigenze del figlio mentre si trova con lui, per tutte le esigenze quotidiane (cibo; vestiti; consumi; casa; medicine da banco; spostamenti; etc.); cioè, compra e fornisce direttamente, invece che delegare, lasciando ad una gestione condivisa con l’altro genitore solo le spese straordinarie; da quelle mediche imprescindibili, ad esempio in caso di infortunio, a quelle necessarie ma soppesabili, ad esempio l’apparecchio dentale, da concordare in tempi ed entità della spesa, fino a quelle non necessarie che prevedono una volontaria adesione, non obbligatoria, ad esempio un acquisto voluttuario o un viaggio.
Questa modalità, per essere realizzabile, necessita di un impegno di tempi di frequentazione bilanciato (a pari tempi corrisponde pari spesa per ciascun genitore) e non prevede alcun assegno di mantenimento.
Il mantenimento indiretto invece prevede un assegno da un coniuge all’altro, che in sostanza delega la provvisione di spese, oltre all’impegno economico nei giorni di frequentazione.
Si noti che se, a logica, tale assegno (che in teoria dovrebbe essere applicato per compensare sbilanciamenti di giorni) dovrebbe solo coprire la differenza di spese per tempi non bilanciati, ossia se il bambino sta 6 giorni con il padre e 25 con la madre, quest’ultima compra più cibo ed ha maggiori spese quotidiane e quindi la differenza diviso due viene pagata dal padre tramite assegno, in realtà, ha acquisito valenze totalmente differenti; dalla compensazione di differenze di reddito all’integrazione per l’altro coniuge.
Da qui i titoli scandalistici di questi giorni, dove la richiesta di tramutare “cibo comprato attraverso assegno con cibo comprato e direttamente cucinato e mangiato col padre” e la conseguente richiesta di più tempo con esso viene letto incomprensibilmente come una privazione di risorse alla madre.
Affidamento: la responsabilità individuale
Altra domanda etico-morale da porsi riguarda la cosiddetta proporzionalità dell’impegno economico verso i figli in base al reddito. Considerando che la scelta di procreare e la conseguente assunzione di responsabilità vengono compiute dai due genitori con uguali intenzioni ed impegno e non a seconda delle disponibilità individuali, e che la responsabilità genitoriale è e deve restare distinta dalla disponibilità economica (a meno che non si pretenda di sindacare su quale coppia possa procreare e quale no), è del tutto priva di fondamento la pretesa di accollare maggiori spese ad uno piuttosto che all’altro sulla base del reddito, a meno che non sia volontariamente scelta dalla coppia ed accettata dai due durante l’unione, ma da azzerare in caso di separazione.
Questo concetto, nel nostro ordinamento, non esiste e non può esistere; poiché la responsabilità comune e condivisa ha uguale valenza per chiunque la abbia assunta volontariamente.
Non può esistere un maggior carico per solo uno dei due genitori; posto che la responsabilità originaria è pari.
Si immagini ad esempio quattro fratelli che si prendono cura del proprio genitore anziano: sarebbe forse accettabile una ripartizione delle spese imposta in base al reddito? O la partecipazione alla cosa comune, come una casa, basata sulle disponibilità? O una multa più salata in base al reddito? Ne consegue che il dovere di cura verso i figli non può essere misurato e sbilanciato in base alle proprie capacità reddituali, altrimenti dovremmo accettare ben altri scompensi (ad esempio pretese di proprietà sui figli da parte di un ricco che annullassero i diritti parentali o le responsabilità della controparte povera o l’opposto, il sollevarsi da responsabilità accollandole ad altri per minore disponibilità di mezzi).
Ora, se apparentemente questo principio di scompenso potrebbe essere giustificato con un maggior godimento dei beni e del benessere per il figlio tramite compensazione monetaria, d’altra parte, la deresponsabilizzazione verso il complesso di cura che il mantenimento indiretto rappresenta è assai più dannosa.
È un complesso che appunto non si può compiere con un semplice invio di soldi.
Prova ne sia che nessun manicaretto o regalo possono, emotivamente, affettivamente ed esistenzialmente compensare le assenze e le mancanze. Se cosi non fosse, la nostra esistenza affettiva potrebbe perfettamente essere assolta in maniera virtuale e monetizzata.
I due distinti contesti e la loro necessaria diversità
La pretesa di fingere due ambienti ugualmente abbienti è infine distorsiva e diseducativa, poiché non rispecchia la verità della vita che i due coniugi conducono e porta quindi ad interazioni familiari distorte.
Corollario di questa considerazione è appunto l’accettazione delle differenti realtà, in primis dai genitori e quindi vissuti serenamente dai figli, come specchio di una realtà che influenza appieno la conoscenza e il rapporto con i genitori, cosa naturale e fisiologica, e che vanno invece valorizzate come peculiarità rappresentative individuali, spesso recuperate a fatica proprio grazie alla separazione.
Qualsiasi tentativo di livellare nelle disponibilità due contesti di vita che si è scelto di separare, risulterebbe controproducente per quella necessaria naturalezza e verità che compongono la vita parentale.
Francesco Toesca – Collaboratore ANFI (Associazione Nazionale Familiaristi Italiani)