“In guerra la prima vittima è la verità”. Questa famosa frase si applica alla perfezione a tutti i conflitti. E se la verità è la prima vittima, i giornalisti lo sono con essa. Accade sempre e il Sud Sudan non è da meno.
A Juba infatti è stata chiusa Radio, una delle principali emittenti del paese e messo in carcere il suo capo redattore, Ocean David Nicholas, colpevole di avere dato la notizia di combattimenti per il controllo della città di Bentiu, capitale dello stato di Unity, cassaforte petrolifera del paese. O meglio, colpevole di avere fornito anche la versione dei ribelli di Riek Machar e non solo quella del regime del presidente Salva Kiir.
Ocean David Nicholas è stato poi rilasciato dopo tre giorni di detenzione durissimi, in una cella, pare, completamente al buio. Radio Bakhita, che è l’emittente dell’arcidiocesi di Juba, invece resta chiusa.
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La guerra in Sud Sudan è stata praticamente dimenticata, “coperta” da Ebola e dalle altre emergenze internazionali. Un conflitto che si svolge nel silenzio, lontano dagli occhi dei media internazionali, è un ottimo scenario per rendere la vita difficile ai giornalisti e rispettare quella legge universale che dice, appunto, che “in guerra la prima vittima è la verità”.
Eppure la guerra in Sud Sudan, paese ricchissimo di greggio, ambito da molte potenze regionali e internazionali, ha pesanti ripercussioni negli equilibri di tutta la regione. Di fatto si tratta di un conflitto che nessuna mediazione ha potuto allentare.
A maggio Riek Machar e Salva Kiir hanno firmato un accordo secondo il quale avrebbero dovuto formare un governo di unità nazionale. Non l’hanno fatto. Hanno invece continuato a farsi la guerra che, anche sul piano umanitario, è una delle più catastrofiche: si parla ormai di un milione di persone a rischio fame. Tra sfollati, rifugiati e profughi si sfiorano le cifre della guerra civile con il nord, cioè due milioni di persone.
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