Il verdetto delle urne, al momento, è risicato ma chiaro: Pedro Castillo vince in Perù. Il candidato di Perù Libre, ha infatti, ottenuto il 50,17% dei consensi al secondo turno delle elezioni presidenziali, pari a circa 8 milioni e 817 mila voti. Ciononostante, non può ancora essere dato per scontato che sarà proprio lui a prendere il posto di Francisco Sagasti, come presidente.
La rivale, Keiko Fujimori, ha infatti chiesto l’annullamento di migliaia di schede e, mentre l’Organizzazione degli Stati Americani esclude gravi irregolarità, poco più di 60mila voti dividono i due contendenti tenendo, nei fatti, ancora in bilico il futuro del Paese andino.
L’antefatto: le proteste autunnali e le dimissioni di Vizcarra e Merino
Per comprendere il peso di questa tornata elettorale presidenziale, può essere sufficiente portare le lancette a novembre 2020, con l’impeachment della maggioranza fujimorista ai danni del presidente Vizcarra, liberale indipendente, e alle successive dimissioni del suo successore Merino, costretto al passo indietro dalle imponenti manifestazioni di piazza che hanno fatto seguito alla sua investitura.
Quei convulsi giorni d’autunno hanno mostrato il vero volto del Paese. Profondamente diviso e giunto ad un momento di svolta, dopo gli anni della transizione post fujimorista. Da un lato la continuità con gli anni del regime, vista come assicurazione di stabilità economica e incardinamento nel fronte filoamericano dello scacchiere internazionale. Dall’altra l’incognita di un radicale cambiamento sulla falsariga delle altre esperienze della sinistra latino-americana.
L’eredità di Fujimori e la sfida del professore marxista
In questo contesto, Keiko Fujimori si è posta come quanto di più simile all’incarnazione della continuità: figlia, come già detto, del presidente, poi dittatore, Alberto Fujimori, la sua ascesa è inquadrabile in quel processo di reazione al cosiddetto “socialismo del XXI secolo” che ha portato all’elezione di Jair Bolsonaro in Brasile e, ancor più, di Macri in Argentina.
Favorevole a politiche di chiaro stampo neoliberista, Fujimori ha nella capitale Lima, centro politico ed economico del Paese, la sua roccaforte. Nonostante una campagna elettorale dai modi decisamente populisti che l’ha vista arrivare a distribuire cibo durante i comizi, la candidata di Fuerza Popular non è riuscita a sfondare nel cosiddetto Perù Profundo.
Sul fronte opposto, il professore marxista arriva all’appuntamento elettorale con l’entusiasmo dell’outsider. Con un consenso stimato intorno al 6% fino alla vigilia del voto, Castillo vince fin da subito la simpatia del Perù che ha sofferto gli anni della dittatura. Costruisce la sua inaspettata affermazione, nelle zone rurali e fra le fasce meno abbienti, spesso coincidenti con la popolazione indigena. Qua, arriva a superare, già al primo turno, il 50% dei consensi nel decile più povero.
Il primo turno: Castillo vince e inizia la lunga campagna verso il ballottaggio
Nella tornata di aprile, l’elettorato si era dimostrato più che mai frammentato. Catillo, pur primo fra i diciotto candidati in lizza, si era fermato sotto la soglia del 20%.
La leader di Fuerza Popular ha dovuto sgomitare non poco con Rafael López Aliaga (Rinnovamento Popolare) e l’economista Hernando de Soto per staccare il ticket valido per il ballottaggio. Alla fine, ha “vinto” con appena il 13,41% e meno due milioni di voti.
Da lì in poi, la campagna si è naturalmente polarizzata fra le posizioni del marxista di Perù libre e quelle degli schieramenti conservatori schieratisi a favore di una Keiko Fujimori assurta a rango di ultimo argine alla possibile deriva Chavista.
Sempre al fine di incarnare la stabilità delle istituzioni peruviane contro lo spettro della svolta eversiva, la propaganda fujimorista si è concentrata su presunti, ma mai dimostrati, legami fra Castillo e redivivi movimenti terroristici in continuità con l’attività di Sendero Luminoso, molto attivo negli anni della dittatura di Alberto Fujimori, agitando lo spettro del terruqueo.
Da parte sua, il candidato di Perù Libre non ha lesinato i richiami al passato della famiglia Fujimori e alle vicende giudiziarie di Alberto Fujimori. Questo spettro è ancora vivo nei ricordi di chi ha vissuto gli anni del regime. L’ex leader è attualmente in carcere e indagato per una torbida e terribile storia di sterilizzazione forzata delle popolazioni indigene.
Inoltre, proprio per presentarsi in maniera meno ostile all’elettorato moderato e centrista, il professore ha dichiarato di dissociarsi da comunismo e chavismo. Nei fatti, cercando di collocarsi nel solco del socialismo e della socialdemocrazia di stampo europeo. Pur avendo fatto storcere il naso ai più oltranzisti, la scelta sembra, con il sennò di poi, aver ripagato.
Castillo vince, Keiko spera nel ribaltone
Le operazioni di spoglio si erano aperte con l’iniziale vantaggio della candidata conservatrice, forte di un vasto appoggio da parte di tutte le formazioni del centrodestra. L’entusiasmo dei fujimoristi è stato, però, presto raffreddato dall’arrivo dei dati delle province più povere che, progressivamente, hanno fatto da contraltare alla netta affermazione della Señora K nella capitale e nel nord del Paese. Il distacco, ad ogni modo, non ha mai superato il punto percentuale. I fantasmi dei brogli e della corruzione non fanno che esacerbare lo scontro fra i due schieramenti.
Ciò che è certo, però, è che i numeri parlano chiaro: Castillo ha vinto le elezioni. Solo un improbabile colpo di scena potrebbe ribaltare questo risultato. Mentre il riconteggio chiesto da Fujimori è ancora in corso, il presidente uscente Sagasti ha fatto appello al senso di responsabilità dei contendenti, affinché la transizione possa svolgersi senza ulteriori tensioni.