Ferrari come nel 2000, ma questa volta niente rimonta
È il 27 agosto del 2000.
Siamo a Spa-Francorchamps, in Belgio e mancano poche gare al termine del Mondiale. È il giro n°41 e Michael Schumacher è intento a superare Zonta, quando Hakkinen, nemico per eccellenza, compie uno dei sorpassi più conosciuti e discussi della storia della Formula 1.
Il finlandese si butta all’interno con Schumi all’esterno, sfrutta il vantaggio frenando bruscamente per passarlo, riuscendo a portare in questo modo a casa la vittoria del Gran Premio.
La crisi Ferrari comincia proprio in quell’istante. Sembra impossibile per il Cavallino pensare di poter recuperare ed aggiudicarsi la vetta della classifica piloti, visto lo svantaggio e il poco tempo a disposizione.
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La rimonta storica della Ferrari
Quando tutto pare perduto, però, avviene quella magia inaspettata che rende speciale lo sport: la rossa centra un filotto di 3 vittorie consecutive, portando a casa il Mondiale. La prima è a Monza, con Schumacher che, a fine corsa, cade in un pianto di sfogo eguagliando proprio in quella gara il numero di GP vinti da Ayrton Senna.
La settimana successiva c’è Indianapolis, che si conclude con il sorpasso in classifica del rivale e il record di telespettatori (ben 14.5 milioni).
Infine poi proprio Suzuka vale il titolo piloti alla Ferrari dopo 21 anni di attesa. In Malesia, dove primeggia ancora una volta il pilota tedesco, arriva la vetta della classifica costruttori. Un finale di stagione da romanzo, così perfetto che pare un lieto fine fiabesco.
Le cause del crollo della Ferrari nel 2018. Anche Vettel ci ha messo del suo
Torniamo ora ai giorni nostri.
L’inizio è decisamente simile, con le rosse che competono per la vittoria. Arriva poi la crisi, a Monza, che da il via all’ascesa della Mercedes e il declino Ferrari. Nulla è perduto, bisogna continuare a crederci e così si prova a fare.
Il finale sperato ed atteso però tarda sempre di più: il tempo è tiranno, le gare rimanenti sempre meno e il recupero del Cavallino diventa utopico. Anche questa volta Suzuka è luogo di conferma, ma di un crollo delle prestazioni, a differenza del 2000, quando invece coronò la rimonta.
Uno dei finali di stagione peggiori per la Ferrari che, ancora una volta, ha esternato i propri limiti a partire da settembre, eliminando così la possibilità di poter competere fino all’ultimo per il Mondiale. C’è chi parla di problemi individuali e chi invece attribuisce il tutto alla scuderia.
Unendo i tasselli, non esiste un capro espiatorio, bensì un insieme di dinamiche e scelte che hanno fatto virare la rotta. Primo fra tutti Sebastian Vettel che, con errori individuali spesso dettati da pressione, esasperazione, oltre che dalla sorte contraria, ha fatto perdere punti preziosi al proprio team.
Gli ultimi sicuramente sono frutto della ricerca compulsiva della vittoria, che ha però peggiorato la situazione (vedi il tentato sorpasso a Verstappen nel GP di Suzuka).
Anche la scuderia della Ferrari ha le sue colpe
Ci sono poi le scelte errate di scuderia, sulle strategie adottate e soprattutto gli azzardi con le gomme, che con la pioggia hanno spesso portato a risultati non all’altezza delle aspettative. Anche la comunicazione dell’acquisto di Leclerc e dell’imminente addio di Raikkonen non hanno giovato: entrambi i piloti sono stati infatti destabilizzati in uno dei momenti cruciali per poter puntare al titolo. Si è inoltre corso il rischio di far terminare al n° 7 la stagione con superficialità.
Tutto ciò potrebbe derivare anche dalla mancanza di una guida, un tempo identificabile con Montezemolo prima e Marchionne poi, che, oltre a dare indicazioni precise, alzavano il morale in questi momenti bui.
Infine, c’è la stagione perfetta della Mercedes post Monza, che ha visto applicare strategie ben studiate ed efficaci, con Hamilton protagonista di una delle sue stagioni più brillanti.
Guardando il quadro generale, c’è bisogno di ritrovare la serenità, ripartendo dagli errori di quest’anno per poter riuscire nell’intento la prossima stagione.
Magari cominciando proprio da Leclerc.