Diamo ufficialmente l’annuncio della partnership tra Termometro Politico e East Journal.
Da qualche settimana i nostri lettori avranno notato che sono aumentati gli articoli di politica estera, soprattutto quelli riguardanti l’est europa, l’asia, il medio oriente, il caucaso, i balcani.
Questo è frutto di una collaborazione che è divenuta nelle ultime settimane sempre più stretta fino a diventare appunto una partnership tra i due giornali, e che ci ha portato ad aggiungere una sezione interamente dedicata alla politica estera nella nostra home page.
Il Termometro Politico pubblicherà in esclusiva gli articoli scritti dalla redazione di East Journal allo scopo di arricchire ulteriormente la varietà e copertura di notizie da tutto il mondo sempre con gli stessi altissimi standard qualitativi che conoscete.
Il Termometro Politico, che è il primo portale per i sondaggi e le elezioni online, si propone come un grande aggregatore di analisi e cultura politica sia italiana che a livello globale.
East Journal è una testata giornalistica registrata presso il Tribunale di Torino, n° 4351/11 del 27/6/2011 (direttore responsabile: Matteo Zola). Il progetto East Journal si basa sui principî del giornalismo partecipativo, senza fine di lucro, senza editori né pubblicità. Riportiamo qui in calce il manifesto di East Journal, per darvi un’idea degli ideali e della visione del gruppo di redattori e collaboratori con cui Termometro Politico dialoga. La volontà di entrambi è di introdurre al pubblico italiano interessato alle vicende di politica e agli appuntamenti elettorali anche le vicende di storia, politica e cultura dell’est, quell’est che per tanto tempo ci è stato ignoto e che oggi fa parte a pari grado della nostra stessa Europa unita. Buona lettura.
Est, in Europa, non è soltanto un punto cardinale. Per buona parte del Novecento l’Europa si è trovata al suo interno divisa, la politica della Guerra Fredda ha costretto il continente a vivere una separazione che si è fatta sempre più radicale nel procedere del secolo. Una dicotomia che ha contribuito a creare al di qua del Muro l’idea di una alterità dell’Est, come se quest’ultimo non fosse parte del continente, protagonista della stessa storia, erede della stessa cultura. La presunta alterità dell’Est si spiega con la distanza che la cortina di ferro ha messo tra le due parti, tanto vicine geograficamente quanto lontane politicamente, ma deriva altresì dalla perversa teoria dell’alterità slava, che fu cara al nazismo e che ancora oggi agisce sottotraccia e fa percepire lo slavo come “diverso”.
L’Est Europa non è però soltanto slava, a livello etnico esiste una differenziazione notevole in una contiguità /continuità che allo stesso tempo accomuna e divide le comunità e le culture. Un’area dunque composita e ricca di contraddizioni, mossa da forze al contempo centrifughe e centripete nei confronti della vicina potenza russa. Un laboratorio per l’Europa Unita nei confronti della quale i membri orientali hanno un atteggiamento polivalente.
Est e Ovest in Europa non sono solo luoghi geografici ma luoghi dell’immaginario che occorre ridefinire: Praga, Cracovia, Budapest, Breslavia sono poste esattamente al centro del continente e ne rappresentano, in ogni senso, il cuore. Un cuore nuovo, eppure antico.
Ecco perché nasce EaST Journal, per contribuire a una maggiore comprensione delle dinamiche politiche e sociali dei Paesi che si trovavano al di là dalla cortina di ferro. Consapevoli delle profonde differenze interne all’Europa centro-orientale e balcanica abbiamo voluto genericamente indicare come “est” quell’area che il Novecento ha separato dalla comune casa europea, al fine di rendere immediatamente percepibile quale fosse la nostra area di interessi.
East Journal non ha editori né pubblicità, quindi non ha padroni. Se siamo indipendenti è perché siamo poveri, di denari, non di idee. La redazione, con un’età media intorno ai 25 anni, è mossa unicamente dalla passione e dalla convinzione che, in una società gerontocratica e individualista, unirsi sia l’unica possibilità per cambiare. Un po’ come le avanguardie di inizio Novecento. Quella, certo, era “arte” e la nostra è solo “informazione” ma lo spirito è lo stesso: di rottura, di discontinuità. Anzitutto i nostri articoli non tengono per nulla conto del vecchio e peloso distinguo tra news e views, tra fatto e commento. E’ infatti quella una regola del giornalismo anglosassone che poco si presta alla nostra mediterranea società mediatizzata. Noi le due cose le vogliamo unire in modo che non sembri mai (mai) che – nascosti dietro il velo di una presunta obiettività – si cerchi di condizionare l’opinione altrui.
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East Journal però non ha un “pensiero unico”. Ognuno dei redattori esprime il proprio punto di vista a commento di un fatto creando (questo è l’intento) una pluralità che possa essere utile al lettore. E siccome le persone non sono lampadine che si accendono o spengono, ma complessi grovigli di valori, convinzioni, filosofie, ecco allora che il nostro modo di fare giornalismo non punta al monolitismo. Quindi sarà difficile etichettare la testata e i suoi redattori come di “destra” o di “sinistra”. Con questo non si vuole dire che siamo “apolitici”. Altra pelosa definizione. Noi siamo politicissimi perché fare informazione, per noi, è curarsi della polis, è mettersi al servizio della polis. Senza ansie però, senza l’assillo della velocità. Il nostro modo di essere “avanguardia” punta invece sulla lentezza: facciamo slow journalism. Invece di scrivere la prima castroneria che ci viene in mente, solo per bruciare gli altri sul tempo, preferiamo pensarci meglio, documentaci, riflettere, prima di pubblicare. La velocità innesca solo i processi di comunicazione. Ma l’informazione non è comunicazione.
[ad]Il nostro obiettivo è quello di raccontare la “nuova” Europa, quella dell’est, che rappresenta il cuore antico del vecchio continente. La cultura e la storia ci insegnano la comune appartenenza. Il nostro intento è mostrare la ricchezza e la bellezza, oltre che la rilevanza, di quella parte di continente troppo a lungo segregata dietro una cortina di ferro. Una segregazione che ha portato pregiudizi e rappresentazioni stereotipate dalle quali vorremmo allontanarci. Il processo di transizione democratica dei Paesi dell’ex blocco sovietico è però lento, travagliato e diseguale. Per questo non ci esimiamo da critiche, anche aspre, poiché quello che vorremmo vedere è quella parte di Europa riunita sotto lo stesso ombrello di una rinvigorita democrazia europea.
L’europeismo critico è dunque una nostra vocazione. L’Unione Europea rappresenta la possibilità di integrare le due europe troppo a lungo divise, creando presupposti per uno sviluppo democratico pieno e condiviso. Affinché questo sia possibile però l’Unione non può limitarsi al semplice aspetto economico, ma deve diventare soggetto politico autonomo nel pieno rispetto dei Paesi membri. Va in questa direzione, di riflessione e dibattito, il progetto Europa Futura che, un poco per volta, stiamo costruendo insieme a intellettuali di livello nazionale. Tra i nostri temi più cari figurano poi la tutela delle minoranze, l’analisi dell’estremismo di destra, la geopolitica energetica, il monitoraggio del crimine organizzato transnazionale. Tra i nostri progetti c’è quello di pubblicare, attraverso e-book ed e-magazine, approfondimenti di più ampio respiro e brevi libri. Tutto rigorosamente gratis perché, per noi, la conoscenza e l’informazione devono poter circolare ed essere fruibili da tutti.
Noi però restiamo piacevolmente ludici, senza prenderci troppo sul serio, senza avere in tasca verità rivelate, senza la pretesa dell’obiettività, ma con la voglia di costruire un progetto che sia anche proprietà dei nostri lettori, coi quali siamo sempre felici di colloquiare e – cosa mai vista in una testata tradizionale – sempre pronti a pubblicare loro commenti, interventi e articoli.
Grazie a tutti coloro che ci leggono e ci sostengono.