Ridimensionato il Nabucco, l’Italia tiene il piede in due scarpe. E Mosca se la ride.
Le recenti vicende, già riportare da East Journal, legate all’utilizzo del gas azero stanno decisamente trasformando la politica di approvigionamento energetico dell’Unione Europea.
In particolare l’inaspettata decisione di Turchia ed Azerbaijan di dare vita al progetto Trans-Anatolian Pipeline (TAGP) ha di fatto dato uno scossone ai vari attori della competizione per lo sfruttamento dei giacimenti azeri di Shah Deniz.
Il progetto Nabucco, sostenuto dall’Unione Europea, si chiama ora Nabucco West, denominazione non priva di significato. Nonostante il sito ufficiale continui a riportare ottimisticamente notizie relative alla costruzione del gasdotto ed agli accordi di concessioni con paesi quali la Bulgaria o la stessa Turchia, la realizzazione dell’opera sembra aver subito un notevole ridimensionamento. Il citato progetto Nabucco West concerne infatti il trasporto del gas solamente dal confine Turco-Bulgaro fino all’hub austriaco di Baumgarten.
Di notevole interesse il discorso tenuto da Günther Oettinger presso Carnegie Europe il 6 marzo. Il Commissario Europeo per l’Energia ha infatti parlato di cooperazione energetica a lungo termine e della necessità di una maggiore coesione tra i paesi partner in quanto il fattore energetico rappresenta una chiave per uscire dalla situazione di crisi economica che il continente europeo sta vivendo. Un discorso che sottolinea quindi l’aspetto politico della questione rinviando ancora decisioni concrete sui future piani europei dopo le mutate condizioni nell’area.
Il fatto che l’unione Europea scelga una linea ufficiale più politica che prettamente economica sembra essere giustificato dalla trasversalità dei progetti in essere. Il consorzio italo (ora franco)–greco ITGI si è visto infatti sconfiggere dal TAP finanziato da capitali svizzeri, norvegesi e tedeschi, e lo stesso Nabucco West si trova di fronte alla concorrenza del progetto SEEP portato avanti dalla britannica BP (British Petroleum) dietro alla quale, come dichiarato all’agenzia EurActiv da Kjetil Tungland, Managing Director del TAP, ci sarebbe lo stesso consorzio Shah Deniz.
Una situazione complicata questa, dove paesi come la Germania sembrano avere forti interessi contrastanti con quelli dell’Unione Europea. Illuminante il caso del gasdotto South Stream che vede una partecipazione della tedesca BASF e sul quale Mosca, tramite Gazprom, ha recentemente deciso di investire in maniera sostanziale. Collaborazione russo-tedesca che si ripropone anche nel più settentrionale North Stream.
La crisi del Nabucco sta inoltre incentivando la politica russa di investimenti in South Stream, nonostante il già citato Tungland abbia definite tale progetto come “irrilevante.” Gazprom, approfittando della mancata concorrenza, sta infatti intensificando la cooperazione con tutte le compagnie petrolifere nazionali centroasiatiche.
E in tutto questo il ruolo dell’Italia sembra essere altrettanto confuso: punto di approdo sia di ITGI che di TAP, con Edison SPA (ora passata ai francesi di EdF) che si vede bocciare un progetto dove è partner della greca DEFA mentre ENI in collaborazione con la russa Gazprom sta dando vita al gasdotto più osteggiato dall’Unione Europea.
Sembra quindi in corso una decisa contrapposizione tra l’Europa politica e l’Europa economica, dove la trasversalità di quest’ultima non tiene conto dei confini dei singoli stati. Una lotta per redistribuzione di poteri e competenze territoriali che con tutta probablità deciderà la fisionomia e le sorti dell’Europa futura.
di Pietro Acquistapace