Usa Cina News: Nafta, la clausola 32.10, una “pillola velenosa”
All’interno del nuovo accordo commerciale tra USA, Canada e Messico, finalizzato a rinnovare le previsioni del “vecchio” NAFTA del 1994, c’è una clausola che ha attirato l’attenzione di molti osservatori internazionali. Si tratta della clausola 32.10; detta anche “pillola velenosa” o clausola “anti-Cina”.
La disposizione prevede che ognuna delle parti contraenti il patto possa ritirarsene se un’altra delle parti stipulerà accordi di libero scambio con stati dotati di economia “non di mercato”.
Usa Cina News: una clausola anti-Pechino?
La clausola sembra pensata apposta per escludere la possibilità per Messico e Canada di stipulare accordi economici con la Cina. Rientrando così all’interno della politica commerciale americana avviata dallo scorso luglio contro Pechino, a base di sanzioni e accuse reciproche che hanno fortemente elevato la tensione tra le due principali potenze mondiali.
Più importante, con ripercussioni in vista sui lavori del prossimo G20 di Buenos Aires (ai margini del quale dovrebbe esserci un incontro tra Trump e Xi Jinping) la clausola 32.10 sembra essere un’ulteriore tappa della nuova strategia americana verso la Cina, enunciata dal recente discorso del vice presidente Pence.
L’ipotesi avanzata da alcuni commenti, tra cui quello di Bhavan Jaipragas del South China Morning Post, è che la clausola possa essere inserita anche in altri accordi commerciali promossi dagli Stati Uniti. Come ad esempio quello in calendario con il Vietnam; uno stato che al di là della recente storia politica è divenuto un alleato de facto degli USA in Asia Meridionale.
Usa Cina News: potrebbe entrare anche in altri accordi?
Tuttavia, non è detto che gli USA riescano ad inserire la clausola anche nei confronti dei trattati a venire; per esempio, quelli che Trump vorrebbe rinegoziare con il Giappone, l’Ue e Regno Unito post-Brexit. Infatti, a differenza di Messico e Canada, i soggetti appena citati non dipendono interamente dagli USA nelle loro performance economiche; quindi, difficilmente accetterebbero una tale limitazione della propria sovranità in ambito economico. Questi stanno piuttosto cercando di sviluppare posizioni di avvicinamento alle possibilità offerte dalla crescita cinese; a dimostrarlo, tra le altre cose, la visita dal 25 al 27 ottobre del primo ministro giapponese Abe in Cina; la prima di un premier nipponico negli ultimi 7 anni.
Dunque, seppur con forte scetticismo verso l’espansionismo cinese all’estero, soprattutto rispetto alle acquisizioni di aziende di primo piano nell’ambito dell’innovazione tecnologica, le medie potenze sembrano cercare un approccio molto più cooperativo che conflittuale con Pechino.
La mossa americana sembra così più che altro interessata a blindare le proprie relazioni continentali, escludendo la Cina dal proprio “estero vicino” e continuando la pressione su Pechino anche a fini propagandistici interni. Il 6 novembre sono infatti in programma le elezioni di midterm; negli stati che hanno consegnato la vittoria a Trump nel 2016 la retorica anti-cinese al grido di “America First!” sembra una carta che il tycoon vuole giocarsi fino in fondo.
Michele Mastandrea