Elezioni midterm USA, le mappe, la geografia del voto
Non c’è stata alcuna “blue wave” nè “red-wave”. A dispetto di alcune previsioni le ultime elezioni di midtermnegli USA scrivono in parte un copione in fondo già visto in tante elezioni precedenti, smentendo alcuni caratteri di eccezionalità che taluni pensavano potessero avere.
I democratici conquistano la Camera dei Rappresentanti con un una maggioranza in realtà non enorme, 229 seggi contro 206 (ma è una stima, si sta ancora contando), ma anzi peggiorano al Senato, dove i repubblicani migliorano la propria maggioranza di due seggi, arrivando – per ora – a 53.
E’ un classico che a metà mandato il partito che esprime il presidente perda terreno, è accaduto quasi sempre negli ultimi anni, nel 2006 con Bush presidente, nel 2010 e 2014 con Obama alla Casa Bianca.
Forse in realtà è il dato del Senato a essere in parte eccezionale, era dal 2002 che il partito al potere non aumentava i propri seggi durante elezioni di midterm. E si trattava dei repubblicani anche allora.
Elezioni Midterm USA. Come cambia la geografia degli Stati Uniti ora?
Il dato del Senato, in cui si eleggono due senatori per Stato a dispetto della popolazione, ci restituisce una immagine degli USA che non riserva grandi sorprese. Hanno cambiato colore quegli Stati in cui era stato in precedenza eletto un senatore in netto contrasto con il voto prevalente alle elezioni presidenziali. Per esempio vincono i repubblicani, strappando ai democratici il seggio, in North Dakota, Missouri, Indiana, stati solidamente repubblicani. Mentre i democratici strappano il Nevada, che ha votato democratico in più di una delle ultime presidenziali.
E’ vero, Wisconsin, Michigan e Pennsylvania, come il West Virginia, rimangono blu, nonostante fossero rossi nelle presidenziali del 2016, ma sono Stati, almeno i primi tre, in cui Trump aveva vinto di poco, e quindi conta molto la persona del candidato. Tra l’altro, in West Virginia il senatore uscente è un democratico piuttosto conservatore. Niente enormi sorprese dunque. Fallisce il tentativo di strappare il Texas ai repubblicani, per esempio.
Elezioni Midterm USA, la geografia attuale con un occhio al 2020
Nel caso della Camera i collegi sono disegnati rispettando la popolazione del territorio, e quindi il risultato può dare un’idea più “proporzionale” (pur in un contesto maggioritario) del consenso.
Prevale il rosso, come sempre, perchè i collegi repubblicani sono solitamente più rurali e meno densamente popolati. Quindi possiamo guardare al cartogramma che disegna i collegi con la stessa dimensione sotto per capire meglio.
Sono tratteggiati quelli che cambiano colore. Che cambiano in aree che erano “toss-up”, in bilico, o di quel partito già alle presidenziali. I democratici conquistano 3 seggi in Virginia, Stato una volta repubblicano, nelle ultime elezioni passato ai democratici in controtendenza nazionale. E poi 3 in Pennsylvania, prevalentemente a Est non lontano dall’Atlantico, area democratica perdendone uno a Sud Ovest, in un’area già da tempo repubblicano.
I repubblicani strappano anche un seggio in Minnesota, dove la classe operaia bianca già si era spostata verso Trump nel 2016.
Seggi conquistati dai democratici poi nello Stato di New York, nel New Jersey, nei dintorni di Chicago, Denver e Detroit, in aree già molto in bilico alle presidenziali.
Vanno bene anche nei collegi urbani di Texas e Oklahoma. Insomma, copione rispettato.
L’impressione è che si confermi il trend già chiaro in precedenza, con le città più blu, le aree rurali soprattutto nel Nord più conservatrici.
I risultati di ieri, le analisi successive lo diranno meglio, potrebbero significare un limitato recupero democratico in grado di spostare pochi decimali o punti negli Stati persi di poco nel 2016.
Ma allo stesso tempo confermano la forza di Trump, che partiva in svantaggio, e la possibilità concreta di essere riconfermato nel 2020.
Probabilmente in realtà sarà decisiva la scelta del candidato democratico, perché lo sappiamo, alla fine agli americani piace votare la persona.