Vertice Libia: si è concluso con un nulla di fatto?
Come da previsioni, la Conferenza Internazionale sulla Libia – svoltasi il 12 e il 13 novembre a Palermo – è stata costretta a scontare per tutto il suo svolgimento numerose difficoltà.
Queste sono dovute in primo luogo alla profonda divergenza di visioni sul futuro del paese da parte dei vari attori interessati. Tra questi, oltre ai leader più noti, vanno ricomprese decine di milizie e tribù che hanno un peso decisivo nel controllo del territorio libico.
Infatti, la Libia è tuttora politicamente divisa a metà tra il parlamento di Tobruk e l’assemblea di Tripoli, che rispondono rispettivamente al generale Khalifa Haftar e a Fayez Al Serraj. Il sud-ovest del paese, il Fezzan, è invece gestito da una molteplicità di clan e milizie in competizione per il controllo delle risorse e dei confini meridionali del paese.
Vertice Libia: la via “democratica”
“Facciamo questa conferenza per il popolo libico e perché vogliamo che il popolo libico possa decidere in via democratica del proprio futuro”, ha dichiarato il premier Giuseppe Conte in apertura dei lavori. Ma la strada per un accordo che stabilizzi il paese è ancora in salita.
Prova ne è il fatto che la stessa presenza di Haftar è stata in dubbio fino all’ultimo momento. Il generale è arrivato poi la sera di lunedì a Palermo, dove ha subito incontrato Conte. Poche ore dopo però l’ENL ha fatto sapere tramite Twitter che Haftar non avrebbe partecipato ai lavori della conferenza. Il generale ha preferito una serie di incontri bilaterali con alcuni dei capi di stato presenti.
Osservatori alla conferenza hanno fatto più volte notare l’aperta ostilità tra i rappresentanti di Tripoli e quelli di Tobruk durante le discussioni. L’obiettivo delle elezioni per il 2019 come previsto dal piano del rappresentante Onu Salame’ rimane dunque molto difficile. È improbabile che la molto mediatizzata stretta di mano tra Al Serraj ed Haftar possa avere un significato oltre l’aspetto simbolico.
Vertice Libia: divergenze ancora profonde
Le divergenze politiche ed ideologiche tra Tripoli e Bengasi sono tuttora molto profonde. Lo sono in merito ai modelli di sviluppo economici, al rapporto tra istituzioni politiche e religiose, alla collocazione internazionale. Non a caso, nessun documento finale condiviso tra tutte le parti sull’esito della Conferenza è stato previsto dal cerimoniale.
Era presente alla conferenza il generale Al Sisi, presidente egiziano, alla prima visita ufficiale in Italia a quasi tre anni dall’omicidio di Giulio Regeni. Hanno partecipato tra gli leader internazionali anche il premier russo Medvedev, l’Alto Rappresentante per la politica estera Ue Federica Mogherini e il presidente del Consiglio Europeo Tusk. Anche la Turchia avrebbe dovuto partecipare al meeting, che ha però lasciato in polemica con la conduzione della conferenza, definita “divisiva”.
Assenze pesanti sono state quelle di Merkel e Macron, che hanno mandato solamente rappresentanti di rango inferiore. Del resto, le visioni sulla Libia divergono da sempre in sede europea. L’intervento del 2011 che rovesciò Gheddafi fu fortemente contestato dall’Italia e approvato invece soprattutto dalla Francia. In gioco, l’influenza su un paese ritenuto fondamentale nell’ottica del controllo dei movimenti migratori, ma anche zeppo di risorse petrolifere contese dalle grandi aziende del settore italiane e francesi come Eni e Total.
Vertice Libia: la gestione dei flussi migratori
La presenza di alcuni principali leader del cosiddetto G5 Sahel (Mali, Ciad) va letta invece nei termini della gestione dei flussi migratori. I paesi subsahariani sono le principali aree di partenza e transito dei migranti, che trovano in Libia una sorta di frontiera sigillata. Questa gestione è molto controversa ed è stata denunciata con forza da associazioni come Amnesty International. In un documento rilasciato proprio a margine della conferenza, Amnesty ha parlato di “politiche di compravendita dei migranti”, denunciando nuovamente le storture degli accordi europei con la Libia già sottolineate in alcuni dei suoi più recenti rapporti.
Dei circa 450.000 migranti presenti in territorio libico più del 60% provengono dai paesi subsahariani. La situazione nelle carceri libiche ha inoltre destato negli scorsi mesi molte reazioni negative a livello internazionale. Proprio su questi temi per le strade di Palermo hanno sfilato – domenica 11 e lunedi 12 – alcune centinaia di persone; hanno puntato l’indice contro le politiche delle personalità presenti al vertice, riguardo ai temi delle migrazioni e delle politiche economiche e di sicurezza.
Tirando le somme, se da un lato c’è stata la capacità di mettere intorno a un tavolo molti degli attori interessati, dall’altro non sembrano essere stati fatti passi concreti nel percorso di stabilizzazione della Libia. L’equilibrio armato raggiunto nel paese, che riflette gli interessi locali e internazionali in gioco, rimane ancora il principio d’ordine di un paese non ancora ripresosi dagli sconvolgimenti del 2011.
Michele Mastandrea