Mobbing verticale e orizzontale: definizione e come si individua
Un argomento attualissimo, specialmente nei contesti lavorativi, è quello inerente il cosiddetto “mobbing”. Con tale termine, intendiamo una situazione in cui uno o più soggetti mettono in atto comportamenti aggressivi e vessatori nei confronti della vittima del mobbing (il cosiddetto “mobbizzato”). Vediamo di seguito più nello specifico che cosa intendiamo e perché è opportuno distinguere tra “mobbing orizzontale” e “mobbing verticale”.
Che cos’è il mobbing
Come accennato, con questo termine intendiamo una vastissima gamma di comportamenti aggressivi, sistematici e durevoli nel tempo, concretizzati da un numero di individui variabile, e nei più svariati contesti (lavorativo, scolastico, familiare). Tutte queste condotte però sono accomunate dallo scopo di vessare e mettere in difficoltà il soggetto colpito. Esiti di tali condotte possono essere l’isolamento e l’emarginazione dal gruppo, nonché veri e propri danni esistenziali ed alla salute; i quali meriteranno – in sede giudiziaria – adeguata valutazione e quantificazione da parte del giudice.
Il mobbing nel contesto lavorativo: come si manifesta
Venendo più allo specifico del contesto lavorativo, gli atti di mobbing sono integrati da angherie e gesti aggressivi, al fine di perseguitare la vittima. Per potersi configurare l’illecito di mobbing, debbono ricorrere due elementi costitutivi fondamentali. Dovranno esserci cioè sistematicità degli atti (e quindi una pianificazione e progettualità nel produrli) e durata (dovranno cioè protrarsi nel tempo, per almeno un periodo di sei mesi). Le forme saranno le più svariate, non è possibile infatti farne un rigido elenco: insulti, pettegolezzi, ingiurie, emarginazione, aggressioni fisiche, esclusione dalla rete di informazioni aziendali, demansionamento ecc.
Il mobbing verticale ascendente e discendente: tratti distintivi
Data l’amplissima mole di situazioni portate all’attenzione dei giudici, il formarsi di una utile e vasta giurisprudenza è stato piuttosto rapido. Negli anni, i giudici hanno quindi ben potuto inquadrare due differenti forme di mobbing, quello verticale e quello orizzontale. Il mobbing verticale ha a che fare con l’organizzazione gerarchica dell’azienda; può assumere i contorni del mobbing ascendente, laddove l’atteggiamento persecutorio sia esercitato da uno o più dipendenti ai danni del proprio capo. Insomma, l’autorità del superiore è messa in discussione in una sorta di “ammutinamento” aziendale. È abbastanza ovvio però che, in giurisprudenza, questi siano casi abbastanza rari.
Ben più noto e diffuso il mobbing dall’alto o discendente (detto anche “bossing”). È tipico del capo che, con condotte che oltrepassano i suoi poteri, si rende protagonista di una serie di comportamenti vessatori, finalizzati a punire ingiustamente il dipendente.
Il mobbing orizzontale: tratti distintivi
Diffuso è anche il mobbing orizzontale. Esso è quel fenomeno integrato da condotte aggressive, o sul piano fisico o sul piano verbale, perpetrate da uno o più colleghi ai danni di un loro pari. Esso è tipicamente diffuso in quelle situazioni in cui un nuovo componente dell’ufficio va ad integrare una organizzazione aziendale già collaudata e radicata su certi schemi relazionali. Negli ambienti lavorativi è facile che si manifestino gelosie, antipatie, caratteri opposti e incompatibili, oppure volontà di emergere a tutti i costi. Pertanto comportamenti di mobbing orizzontali sono frequenti.
L’orientamento della giurisprudenza: quando si può parlare di mobbing
Come sempre la giurisprudenza chiarisce e amplia, con la sua attività interpretativa, quella che è mera lettera della legge. Richiamiamo l’elenco di requisiti essenziali, stilato dalla Corte di Cassazione. Anzitutto, per aversi mobbing in ambiente lavorativo, occorre una serie di atti persecutori, vessatori, sistematici e prolungati nel tempo. Gli autori possono essere i colleghi o i superiori gerarchici. Deve ricorrere poi l’evento lesivo alla salute.
Deve esserci un oggettivo pregiudizio alla vittima, che rechi danni biologici ed esistenziali. È necessario poi il nesso di causalità tra le condotte lesive e il danno subito dalla vittima. L’onere della prova spetterà alla vittima, la quale dovrà addurre in giudizio tutti gli elementi idonei a testimoniare la violazione della propria integrità psico-fisica. Determinante sarà anche l’elemento soggettivo, ovvero l’intento persecutorio unificante i comportamenti lesivi. Tutti questi atti debbono cioè essere uniti dal comune intento persecutorio, mirato a penalizzare ingiustamente la vittima.
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Esclusione del mobbing: alcuni casi
La giurisprudenza ha escluso il mobbing laddove la suddetta serie di requisiti non sia integrata pienamente. Ad esempio, non c’è mobbing laddove manchi la sistematicità degli atti lesivi, ovvero laddove via sia una ragionevole ed alternativa spiegazione del comportamento datoriale. Non c’è mobbing neanche laddove, pur potendosi palesare singoli ed isolati episodi di conflitto, manchi però un complessivo disegno unitario, finalizzato alla persecuzione e discriminazione sul luogo di lavoro.