Licenziamento per flat tax, cosa conviene fare
La flat tax, così com’era nel programma originario della Lega, non sarà operativa dal 2019. A partire dal prossimo 1° gennaio entrerà in vigore solamente l’estensione del regime forfettario. Una misura rivolta alle aziende e ai titolari di partita Iva con reddito annuo fino a 65.000 euro. Entro questa soglia si pagherà una tassa del 15%, o del 5% se si apre una nuova attività e non si è aperta la partita Iva nei 3 anni precedenti. Le cose potrebbero cambiare già dal prossimo anno, con una nuova aliquota del 20% per redditi fino a 100 mila euro.
Inoltre, la “tassa piatta” dovrebbe prima o poi – secondo i piani della Lega – estendersi anche alle famiglie, oltre che alle aziende. Tuttavia c’è già chi non parla più di “flat tax” in senso proprio. Quella che vedremo nel 2019 sarà solo una estensione del regime forfettario, ma con qualche limitazione in più, in particolare riguardo i soggetti esclusi, o in meno.
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Flat tax 2019: le limitazioni
Riceviamo e pubblichiamo una lettera di un docente ingegnere, che si trova a lavorare come libero professionista ma che sarà escluso dall’aliquota del 15%. La sua voce è solo una tra molte, ma ci consentirà anche di fare il punto della situazione sulla flat tax 2019, almeno per come la conosciamo oggi.
“Chi le scrive è un docente dipendente di ruolo, anche libero professionista (con regolare partita Iva). Tengo a precisare quanto segue. All’art. 4 della bozza della Legge di Bilancio 2019 si legge: d-bis) i soggetti che hanno percepito redditi di lavoro dipendente o redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente, di cui rispettivamente agli articoli 49 e 50 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 e che esercitano attività d’impresa, arti o professioni prevalentemente nei confronti anche di uno dei datori di lavoro dei due anni precedenti o, in ogni caso, nei confronti di soggetti agli stessi direttamente o indirettamente riconducibili”.
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Flat tax 2019: soggetti esclusi, i casi particolari
“Premetto quanto segue: tutti i docenti statali ingegneri ed architetti si tengono aggiornati a loro spese e trasferiscono agli alunni quanto acquisito nella libera professione. Questi docenti rappresentano per lo Stato italiano e per la scuola una ricchezza grazie alla loro professionalità. È ciò che io ho fatto per tutta la mia carriera, insegnando prima ai geometri come fare una strada e oggi come fare un impianto elettrico o una relazione ai tecnici industriali. Tuttavia, quelli come lo scrivente si vedono penalizzati da questa normativa che non permette loro di aderire al regime forfettario rientrando tra gli esclusi.
Infatti, molto spesso capita, come per lo scrivente, che questi abbiano come solo e unico maggior cliente la propria scuola o scuole vicine per le quali esercitano attività di dipendente e di libero professionista (per le quali questo professionista deve avere determinate abilitazioni) tenendo ad esempio corsi sulla sicurezza per alunni e docenti imposti per legge, presentando progetti gratuiti per l’accesso ai finanziamenti per l’ammodernamento delle palestre, e via di seguito. Entrando nel dettaglio, lo scrivente è dipendente della scuola (statale) con uno stipendio di 30.000 euro lordi annui e un budget professionale limitato che non arriva a massimo 15.000 euro lordi annui.
L’attuale aliquota su 45.000 tra addizionali comunali, regionali e Irpef, arriva a oltre 38% (senza tener conto di gestione separata 24% etc.). Invece un forfettario arriverebbe a pagare un’aliquota del 15% su un ammontare di 65.000 euro. Spiegatemi per quale arcano motivo io che guadagno molto meno di 65.000 euro non posso rientrare nel regime anche solo per la parte di libera professione e debba essere penalizzato. I vantaggi a cui miriamo sono soprattutto di facilitazione burocratica, come assenza di scritture, fatturazione, etc. Non sono una falsa partita Iva!”.
Flat tax 2019: il problema delle false partite Iva
La questione posta dall’ingegnere è legittima e abbraccia un vasto campione di professionisti che si trovano nella medesima condizione. La dichiarazione finale che conclude la lettera risulta infatti emblematica. Tutti i professionisti che non sono false partite Iva dovranno “pagare” per le false partite Iva. Perché la limitazione a cui si fa cenno mira proprio a contrastare il fenomeno delle false partite Iva, ma anche la massa dei licenziamenti che ne conseguirebbe. Una flat tax estesa a tutte le partite Iva dovrebbe infatti affidarsi alla buona fede dei datori di lavoro e delle aziende.
Ma la realtà che andrebbe a crearsi sarebbe un’altra: un dipendente con contratto a termine arrivato allo scadere o uno assunto a contratto a tempo indeterminato e che dunque costa troppo, potrebbe essere convinto dall’azienda ad aprire una partita Iva per continuare la propria attività sotto partita Iva. Su queste basi e presupposizioni, il lavoratore si ritroverebbe dunque in condizione di svantaggio, poiché pur aprendo una partita Iva, continuerebbe comunque la propria attività lavorativa come quando era assunto da dipendente. Sintetizzando, l’emendamento a cui si fa riferimento ha una certa importanza nel tutelare il lavoro dipendente.
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Flat tax 2019: gli ultimi aggiornamenti
Ovviamente esistono dei casi particolari, come quello del professionista che ci ha scritto, ma che purtroppo, almeno a oggi, non trova sbocco in qualche intervento risolutivo. Vien da sé che quella che abbiamo di fronte non risulta essere una flat tax vera e propria, quanto piuttosto un’evoluzione di un sistema che esiste già, quello del regime forfettario. Che nulla ha a che vedere con la tassa piatta, bensì con un regime agevolato, il cui reddito massimo è esteso a 65.000 euro. Ciò significa che chi è già in questo regime agevolato può proseguire la sua attività applicando le nuove regole. Chi invece non rientrava, dovrà aspettare altre novità, magari in arrivo nei prossimi anni o forse no, questo non possiamo saperlo.
C’è anche da precisare che nel nuovo regime forfettario ci sarà anche un’altra limitazione importante, che finora non c’era. Infatti, fino alla fine dell’anno, chi ha una quota in una società che opera in regime di trasparenza fiscale poteva comunque aderire al regime agevolato. Dal prossimo anno, questo potrebbe essere impedito. Chiunque abbia una quota in una società, ad esempio familiare, sarà escluso dal regime agevolato. Di contro dovrebbe essere eliminato il limite di 5.000 euro annui per le spese legate al lavoro accessorio, dipendente e collaborativo, nonché il limite di 20.000 euro per gli investimenti in beni strumentali.
In ogni caso non resta che attendere fine dicembre 2018, quando la Legge di Bilancio 2019 sarà finalmente approvata e potremo quindi studiare e analizzare approfonditamente tutti i dettagli.