Vojvodina, l’autonomia negata
I piccoli partiti temono una campagna denigratoria nei loro confronti, a cui non potrebbero opporre resistenza per mancanza di fondi; in più, le formazioni politiche belgradesi controllano saldamente le dinamiche occupazionali nei posti pubblici e utilizzano il lavoro come arma per ottenere voti. I piccoli partiti possono resistere soltanto se i partiti più grandi rinunciano a una parte della torta e permettono loro di avere un margine di manovra, soprattutto nella distribuzione dei posti di lavoro.
[ad]Chi in Serbia parla apertamente di autonomia è un nemico convinto della patria, qualcuno da isolare perché prima o poi riconoscerà anche l’indipenza del Kosovo. L’equazione autonomia della Vojvodina-indipendenza del Kosovo è stata creata ad arte dai mezzi di comunicazione di massa per creare difficoltà a quanti – non solo in Vojvodina – vorrebbero che Belgrado allentasse la morsa centralistica sul paese. Di questo sono colpevoli gli intellettuali organici alla partitocrazia; i DS hanno in questo senso molte responsabilità, dato che hanno nepotisticamente impiegato nelle principali testate giornalistiche e televisive solo persone tesserate a un partito di governo (gli intellettuali hanno giocato un ruolo fondamentale anche durante le guerre degli anni Novanta: la politica di Milošević e quella di Tuđman in Croazia non avrebbero potuto essere attuate senza uno stuolo di giornalisti, professori universitari, scrittori, pronti a servire l’ideologia dominante. Chi dissentiva, come Predrag Matvejević in Croazia, sceglieva spesso la strada dell’asilo o dell’esilio proprio perché in patria si sentiva isolato).
Quali sono le conseguenze di quello che può essere definito il vassallaggio che Belgrado impone alla Vojvodina? La prima, e la più grave, è la scomparsa del ceto medio, che è sempre stato debole e modesto, ma che costituiva l’intellighenzia politicamente impegnata. Oggi, ogni nazionalità tende a rinchiudersi sempre di più in sé stessa, spaventata dagli sconvolgimenti che le guerre degli anni Novanta hanno causato. Il ceto medio di Novi Sad era plurietnico e sentiva di appartenere alla Vojvodina: adesso gli individui si schierano spesso per nazionalità e alcune di esse, come quella ungherese o quella rumena, sono molto litigiose al proprio interno. Il ceto medio è scomparso anche perché l’intera Vojvodina si è impoverita, un po’ a causa della guerra e un po’ a causa del fatto che la poca ricchezza prodotta dall’agricoltura e dall’industria è controllata da Belgrado. Come ho già detto, inoltre, per trovare lavoro è necessaria l’iscrizione a un partito, la cui sede è, ancora una volta, a Belgrado; ciò influenza notevolmente il corpo elettorale.
La seconda conseguenza è l’impoverimento delle zone rurali. I paesi che Maria Teresa fece radere al suolo per poi farli ricostruire secondo un piano urbanistico razionale e illuminato, si spopolano sempre di più: l’agricoltura non rende, i giovani si trasferiscono nei centri urbani se non, nel caso delle minoranze ungheresi e rumene, a Budapest o a Bucarest. Belgrado non fa nulla per fermare questo fenomeno.
La terza riguarda la sfera culturale: il governo centrale finanzia soltanto le istituzioni artistiche della capitale. A Novi Sad e a Sombor, dove c’è un teatro all’italiana architettonicamente prestigioso, i repertori sono asfittici, lontani anni luce da quelli presenti nel resto d’Europa. Novi Sad, una città che ha ormai 400.000 abitanti, non ha un’orchestra stabile e una stagione concertistica degna di questo nome: i Vojvođanski simfoničari (l’orchestra sinfonica della Vojvodina), diretti dal bravo maestro Berislav Skenderović, suonano 6 o 7 volte all’anno, quando e se ottengono i finanziamenti. Quanto detto non riguarda solo la Vojvodina, ma l’intera Serbia, con l’eccezione, ovviamente, di Belgrado.
La quarta conseguenza concerne le infrastrutture: la ferrovia che collega Novi Sad a Subotica, che si trova sulla trafficatissima linea Belgrado-Budapest, è a binario unico. Negli anni ’80 il treno percorreva i 90 km che separano Subotica e Novi Sad in un’ora e venti minuti. Oggi, l’intercity “Ivo Andrić” impiega più di 2 ore! Le linee ferroviarie secondarie sono impraticabili, ricoperte di erbacce e non più attive. Per raggiungere Novi Sad da Timisoara in treno e percorrere così poco più di 100 km ci vogliono 8-9 ore. Le strade comunali e provinciali sono strette e pericolose; l’autostrada Subotica-Belgrado, l’unica via di comunicazione relativamente veloce, è un cantiere a cielo aperto. In Vojvodina muoversi da ovest verso est e viceversa è una vera e propria impresa.
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