Sulla scia dei sindaci “dissidenti”, adesso sono le Regioni a muoversi. Toscana, Umbria e Emilia-Romagna hanno già deliberato il ricorso alla Consulta per sospetta incostituzionalità del decreto sicurezza, convertito nella legge 132/2018. La Sardegna, la Basilicata, il Piemonte, la Calabria e il Lazio, proprio in queste ore, ci stanno ragionando.
A differenza dei Comuni, infatti, le Regioni possono fare appello diretto alla Corte Costituzionale laddove ravvisino profili di lesione delle competenze costituzionalmente garantite alle Regioni da parte della legislazione statale. Il decreto sicurezza, sostengono i governatori, ostacola il funzionamento dei servizi e della sanità di competenza regionale.
Decreto sicurezza e immigrazione: eliminazione del permesso di soggiorno per motivi umanitari
Nel mirino il Titolo I della legge 132/2018, in particolar modo l’articolo 1 e 13. Questo reca le “disposizioni in materia di rilascio di speciali permessi di soggiorno temporanei per esigenze di carattere umanitario nonché in materia di protezione internazionale e di immigrazione”. Ma vediamo più nel dettaglio cosa prevede il decreto sicurezza in materia di immigrazione.
L’articolo 1 della norma cancella il permesso di soggiorno per motivi umanitari. Questo aveva la durata di due anni e consentiva l’accesso al lavoro, al servizio sanitario nazionale, all’assistenza sociale e all’edilizia residenziale. Al suo posto sono introdotti i permessi per: protezione speciale (un anno); calamità naturale nel Paese di origine (sei mesi); condizioni di salute gravi (un anno); atti di particolare valore civile e casi speciali (vittime di violenza grave o sfruttamento lavorativo).
L’ufficio legale della Regione Toscana, autore del ricorso della stessa alla Consulta, sostiene che l’articolo 1 del decreto Salvini, eliminando il permesso di soggiorno per motivi umanitari, determina “l’impossibilità di rinnovo, con conseguente impossibilità di erogare i diritti assistenziali sociali e sanitari riconosciuti dalla legislazione regionale. Infatti, un numero significativo di immigrati regolari grazie al permesso di soggiorno diventerà irregolare”.
Decreto sicurezza e immigrazione: diniego protezione internazionale
Passando all’articolo 2 del dl sicurezza, la durata massima del trattenimento degli stranieri nei Centri di permanenza per il rimpatrio viene allungata da 90 a 180 giorni.
L’articolo 6 del decreto sicurezza assegna al Fondo rimpatri del Viminale le somme stanziate con la legge di bilancio per programmi di rimpatrio volontario assistito: 500 mila euro per il 2018, un milione e mezzo per il 2019 e un milione e e mezzo per il 2020.
All’articolo 7, invece, si stabilisce la possibilità di diniego della protezione internazionale nel caso di condanna definitiva anche per i reati di violenza sessuale, spaccio di droga, rapina ed estorsione. Tra i reati di “particolare allarme sociale” si includono: la mutilazione dei genitali femminili; la resistenza a pubblico ufficiale; le lesioni personali gravi; le lesioni gravi a pubblico ufficiale in servizio di ordine pubblico; il furto aggravato dal porto di armi o narcotici. E per accelerare l’esame delle domande di protezione internazionale, il questore dà comunicazione alla Commissione competente nel caso in cui il richiedente sia indagato o sia stato condannato, anche con sentenza non definitiva, per uno dei reati riconosciuti di particolare gravità. L’eventuale ricorso non sospende l’efficacia del diniego (art. 10).
Decreto sicurezza e immigrazione: lista dei Paesi sicuri e Sprar
Sempre con l’articolo 7 si prevede l’adozione, con decreto del Ministro degli Esteri di concerto con i Ministri dell’interno e della Giustizia, di una lista dei Paesi di origine sicuri, al fine di accelerare la procedura di esame delle domande di protezione internazionale delle persone che provengono da uno di questi. Uno Stato non appartenente all’Unione europea può essere considerato Paese di origine sicuro se, sulla base del suo ordinamento giuridico, dell’applicazione della legge all’interno di un sistema democratico e della situazione politica generale, si può dimostrare che, “in via generale e costante, non sussistono atti di persecuzione, né tortura o altre forme di pena o trattamento inumano o degradante, né pericolo a causa di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”.
Il decreto (articolo 8) dispone la revoca della protezione umanitaria ai profughi che, una volta presentata richiesta di asilo, rientrano senza “gravi e comprovati motivi” nel paese di origine.
L’articolo 12 modifica lo Sprar, il Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati gestito con i Comuni. Vi avranno accesso solo i titolari di protezione internazionale e i minori stranieri non accompagnati. Ciò significa che gli Sprar non potranno più ospitare i richiedenti asilo. Questi rimarranno nei centri di accoglienza ordinari ad attendere gli esiti delle proprie domande. Per snellire le procedure di registrazione e gestione dei migranti, dal primo gennaio 2019 sono istituite dieci nuove Commissioni territoriali per l’esame delle domande.
Decreto sicurezza e immigrazione: l’iscrizione anagrafica
L’articolo 13 stabilisce che il permesso di soggiorno costituisce sì documento di riconoscimento ma non costituisce titolo per l’iscrizione anagrafica. “In tal modo, vietando l’iscrizione anagrafica per questi soggetti, – si legge nel ricorso della Regione Toscana – si preclude loro di usufruire degli interventi previsti dalla legislazione regionale che presuppongono la residenza negli ambiti dell’assistenza sociale, della formazione professionale, del lavoro, dell’istruzione e della tutela della salute. Tutti ambiti di competenza concorrente e residuale delle Regioni, e – continua la nota – con lesione dei diritti essenziali della persona umana. Ciò determina la violazione degli artt. 2 e 117 terzo e quarto comma Cost. Inoltre, l’eliminazione dell’iscrizione anagrafica determina una disparità di trattamento tra cittadini degli Stati membri e stranieri regolarmente soggiornanti con violazione degli artt. 3 e 10 Cost.”.
L’articolo 14 introduce la revoca della cittadinanza italiana anche per i colpevoli di reati con finalità di terrorismo o eversione dell’ordinamento costituzionale. Inoltre, con lo stessa disposizione, si raddoppiano i tempi, da due a quattro anni, per la concessione della cittadinanza per matrimonio e per residenza.
Infine, con l’articolo 15 viene meno la possibilità del gratuito patrocinio nei casi in cui il ricorso del migrante contro il diniego della protezione sia dichiarato improcedibile o inammissibile.