Cassazione, omicidio aggravato da stalking: tra il giuridico e il mediatico.

Lo stalking non è più un’aggravante per il reato di femminicidio. “Un passo indietro di almeno 12 anni sulla difesa delle donne” con queste asserzioni alcune testate giornalistiche hanno aperto il loro commento su quanto statuito recentemente dalle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione.

La pronuncia della Suprema Corte, di fatto, stabilisce che il reo punito per omicidio aggravato da stalking non può essere ulteriormente condannato per un reato autonomo concorrente di stalking.

Cosa significa e qual è la ratio di una siffatta pronuncia?…

Antefatto e caso di specie

Con l’ordinanza n. 14916/2021 la Quinta sezione penale della Cassazione ha rimesso alle Sezioni Unite la qualificazione del rapporto tra il delitto di stalking e l’omicidio aggravato.

L’istanza di rimessione, all’esito dell’udienza del primo marzo 2021, si era resa indispensabile alla luce di un contrasto interpretativo giurisprudenziale concernente i delitti di omicidio doloso aggravato (ex art. 576, co.1 n. 5.1., c.p.) e di atti persecutori (ex art. 612 bis).

Le due visioni interpretative che si scontrarono possono essere riassunte nei seguenti termini:

Nonostante l’utilizzo del termine giornalistico “femminicidio”, è opportuno sottolineare due aspetti…

Giuridicamente parlando, il reato di femminicidio non esiste, bensì è omicidio aggravato dalla relazione con la vittima.

Inoltre, il caso di specie su cui si è espressa la Corte non riguarda proprio un caso di femminicidio, nell’accezione che può avere nell’immaginario collettivo.

Infatti, la pronuncia fa riferimento a una vicenda di un omicidio avvenuto all’interno di un parcheggio di Sperlonga, nel giugno del 2016. La vittima fu gettata dalle scale durante una lite da parte di una sua collega, la quale negli anni precedenti aveva commesso atti persecutori nei confronti della prima sotto forme di minacce e ingiurie.

 

Qual è la differenza tra concorso di reati e concorso apparente di norme?

In altri termini, si parla di un concorso di reati qualora un soggetto abbia infranto più volte la legge penale e, conseguentemente, deve rispondere a più reati.

 

Diversamente, con il concorso apparente di norme si intende un fatto, il quale sembra integrare più fattispecie, invero però, soltanto una sarà applicabile e il soggetto dovrà rispondere a un solo reato.

Chiarita sinteticamente la differenza, la pronuncia della Suprema Corte verteva proprio sulla qualifica del rapporto che intercorre tra i due reati sulle basi suddette.

Nel caso in cui l’agente di atti persecutori finisca con l’uccidere la sua vittima, la pena che egli deve subire sarà per un omicidio aggravato (ex art. 576, co.1, n. 5.1) ovvero per omicidio aggravato e reato autonomo e concorrente di atti persecutori (stalking)?

Pronuncia della Suprema Corte

La pronuncia delle Sezioni Unite della Cassazione ha, pertanto, statuito che in caso di concorso tra i fatti-reato di atti persecutori e omicidio aggravato sussista un reato composto (ex. art. 84, co.1, c.p.).

tale tipologia di reato è quellla che si configura quando la legge prevede come elementi costitutivi o come circostanze aggravanti di un solo reato fatti che di per sé costituirebbero reati diversi.

In tale senso, il reato composto assorbe integralmente il disvalore della fattispecie di cui il sopracitato art. 612 bis del Codice penale.

L’orientamento interpretativo della Cassazione trova uno dei suoi fondamenti nel principio del “ne bis in idem” sostanziale (non due volte per la stessa cosa), il quale mira a non punire il reo due volte per il medesimo fatto.

 

Reazioni mediatiche

Come anticipato nell’introduzione, quanto statuito dalla Suprema Corte ha generato non poca confusione. Disordine comunicativo probabilmente dovuto alle modalità e ai termini con cui è stata riportata la notizia.

Di fronte a queste letture mediatiche, il mondo social non è rimasto inerme. Tanti sono stati i giuristi, attivi sulle piatteforme di comunicazione, a contestare tale lettura. Questa tendente a far credere che lo “stalking” non sia più considerato un’aggravante.

Infine, altrettanti furono i non addetti ai lavori giuridici a commentare e a seguire con palese interesse il dibattito.

 

In conclusione…

Le motivazioni dei giudici non sono state ancora rese pubbliche. Pertanto, in attesa delle argomentazioni, ciò che possiamo affermare con certezza è quanto segue: che lo “stalking” non formi più un’aggravante nei casi di omicidio è una affermazione priva di fondamenta giuridiche.

Dal punto di vista delle implicazioni pratiche, giunti a questo punto, è d’uopo sottolineare che la lettura che opta per la considerazione di reato complesso comporta una pena decisamente più aspra.

Da quest’ultima, infatti, può derivare l’ergastolo, cioè il massimo della pena. Diversamente, in caso di concorso di reati la pena massima che poteva derivare è la reclusione per trent’anni.