Un reato di cui tutti sentiamo spesso parlare, nei casi di cronaca nera resi noti da telegiornali e carta stampata, è quello dei cosiddetti maltrattamenti in famiglia. Vista diffusione e attualità di tale illecito penale, è opportuno di seguito richiamarne aspetti fondamentali ed alcune massime giurisprudenziali; esse hanno infatti ulteriormente chiarito i contorni di tale reato.
Reato di maltrattamenti: cosa dice la legge, finalità e i soggetti coinvolti
Il Codice Penale è molto chiaro nel reprimere la condotta integrante maltrattamenti. Esso afferma – all’art. 572 – che chiunque maltratta una persona della famiglia o comunque convivente, o una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l’esercizio di una professione o di un’arte, è punito con la reclusione da due a sei anni. La volontà del legislatore appare quella di tutelare l’integrità psicofisica di persone che abbiano un vincolo di parentela con l’autore del reato o che comunque convivano con esso o che – ancora – abbiano una delle diverse relazioni sopraccitate con il reo. La norma, insomma, tutela sia i contesti familiari che quelli para-familiari.
La giurisprudenza oggi classifica questo delitto come reato abituale a condotta plurima; dato che per la sua consumazione è richiesta una reiterazione nel tempo di condotte omogenee. Non è sufficiente cioè un mero atto di maltrattamento, essendo richiesta la continuità nel tempo della condotta illecita. Essa deve peraltro essere mirata a sottoporre il soggetto passivo a vessazioni sia fisiche che psichiche.
Reato di maltrattamenti: quale prescrizione applicabile
Circa la prescrizione, oggi – in virtù di una integrazione normativa di qualche anno fa (la legge n. 172 del 2012), che ha inteso anche inasprire le pene e allargare la tipologia di vittime potenziali del reato – il relativo termine è stato raddoppiato. Nello specifico abbiamo che, per l’ipotesi “semplice” di maltrattamenti, di cui al primo comma del suddetto articolo, il reato si prescrive in 12 anni; saranno invece 18 anni in caso di lesioni gravi e 30 anni nell’ipotesi di lesioni gravissime. In caso di morte che derivi dai maltrattamenti, il termine di prescrizione sarà di 48 anni.
Reato di maltrattamenti: il contributo della giurisprudenza
Appare opportuno fare qualche cenno alla giurisprudenza degli ultimi anni. Ciò in quanto, come al solito, è utile a chiarire e interpretare nitidamente il dato normativo, così come è oggi alla luce delle recenti integrazioni di legge. Per esempio, la Cassazione ha sostenuto che i maltrattamenti ad un lavoratore dipendente integrino il reato di cui sopra. Ciò nel mero caso in cui tali condotte si calino in un contesto che – per le caratteristiche peculiari della prestazione lavorativa ovvero per le dimensioni e la natura del luogo di lavoro – comporti relazioni intense e abituali; una stretta comunanza di vita o anche una relazione di affidamento del soggetto più debole verso quello rivestito di autorità, assimilabili alle caratteristiche proprie del consorzio familiare.
La Cassazione, sempre negli ultimi anni, ha riconosciuto l’applicabilità della pena prevista per le lesioni gravi susseguenti ai maltrattamenti, nel caso questi ultimi abbiano determinato la ritardata crescita del minore; il quale si sia quindi trovato in condizioni di denutrizione o malnutrizione tali da cagionare permanenti disturbi di salute. Clicca qui per sapere come accedere al gratuito patrocinio.
Cosa dice la cassazione circa i maltrattamenti in famiglia
In ultimo, merita un cenno anche una presa di posizione della Cassazione, con riguardo all’ampiezza delle possibili vittime del reato in oggetto. Essa ha infatti sostenuto che i maltrattamenti sono configurabili anche laddove la vittima degli abusi abbia con l’autore del reato un rapporto familiare puramente di fatto; in cui però sia ravvisabile – pur in assenza di convivenza – l’attivazione di un progetto di vita fondata sulla reciproca solidarietà ed assistenza. Pertanto la finalità progettuale comune, secondo la Cassazione, comporterebbe l’applicazione dell’art. 572, anche in assenza di una stabile convivenza.