«Un passaggio decisivo per restituire all’Italia, dopo 60 anni, un settore economico radicato nella nostra identità storica». Così la deputata grillina Loredana Lupo, all’indomani della sua approvazione, commentava la legge 242/2016, la legge sulla canapa legale di cui era stata la propositrice.
Forse perché spesso la canapa viene semplicisticamente marchiata come sostanza stupefacente dalla quale diffidare, ai più non è noto che per lungo tempo la sua produzione è stata un fiore all’occhiello del nostro paese. Alimentare, tessile o industriale, l’utilizzo della canapa è assai variegato e negli anni Cinquanta l’Italia ne era il maggior produttore al mondo (secondo solo all’Unione Sovietica).
Recentemente l’attenzione per questa pianta si è accesa nuovamente. Come conseguenza si è avuta l’approvazione della famosa legge 242/2016, recante “Disposizioni per la promozione della coltivazione e della filiera agroindustriale della canapa”. Questo provvedimento ha reso lecita la coltivazione di una particolare tipologia di canapa (la Canapa Sativa L.), sotto il rispetto di determinati parametri.
Cannabis e canapa legale: cosa prevede la legge 242/2016
I paletti sono piuttosto stringenti, il che mostra la particolare cautela tenuta dal legislatore nel suo nuovo approccio di apertura verso questo nuovo tipo di produzione. Innanzitutto devono essere utilizzate sementi registrate nell’Unione Europea. Il livello di THC (d9-Tetraidrocannabinolo) nelle singole piante non deve superare lo 0,2 per cento, anche se viene previsto un margine di tollerabilità fino allo 0,6 per cento.
Nel primo articolo della legge vengono fissati dei limiti con riferimento alle finalità per le quali è consentita la produzione. Si spazia dall’ambito alimentare a quello cosmetico e tessile. Non vi sono margini interpretativi sull’esclusione dell’uso personale ricreativo, che rimane a tutti gli effetti non consentito.
Il coltivatore di canapa non necessita di alcuna autorizzazione, pur dovendo sottostare a degli obblighi precisi, come quello di conservazione dei cartellini della semente acquistata e delle relative fatture.
Sono previste attività di controllo da parte della guardia forestale e della polizia giudiziaria, in particolare con riferimento al rispetto del livello di THC consentito. Interessante notare che, qualora il contenuto di THC nella coltivazione sia superiore allo 0,6 per cento, ne viene disposto il sequestro o la distruzione ma viene esclusa la responsabilità del coltivatore. Previsione normativa che ha portato ad un’interessante sequela giurisprudenziale ed è ancora discusso se tale esimente sia o meno estendibile anche al commerciante o rivenditore.
La legge 242/2016 prevede poi lo stanziamento di fondi per il miglioramento delle condizioni di produzione e trasformazione nel settore della canapa, stanziati annualmente dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali.
L’attuale quadro normativo su cannabis e canapa legale
In seguito alle modifiche legislative, i confini di legalità della canapa sono piuttosto grigi. Ci si trova di fronte ad una costellazione normativa che per gli operatori del settore è difficile da interpretare, visti anche gli interventi giurisprudenziali spesso discordanti. Il problema consiste nel capire quando si rientri nell’ambito di applicazione della L 242/2016 e quando invece nel Testo Unico sugli Stupefacenti (L. 309/90). Infatti la cannabis (che non è altro che un particolare tipo di canapa), è una pianta inserita nella tabella II del Testo Unico 309/90. Infatti, per il suo principale principio attivo psicoattivo (il THC) è considerata come sostanza stupefacente.
Ciò comporta che la sua coltivazione, la cessione, la detenzione a fini di spaccio può avere conseguenze penalmente rilevanti. Non invece la detenzione per consumo personale, che costituisce un illecito amministrativo (si ricordi al riguardo la decisione n. 109/2016 della Corte Costituzionale, che ha stabilito che ciò non vale invece per la coltivazione per uso personale che rappresenta invece un reato e non un mero illecito amministrativo).
Qui, il nostro report dell’ultimo “Spannabis” a Madrid.
I diversi punti interrogativi sulla canapa legale
È assodato che con l’entrata in vigore della L 242/2016 la coltivazione della “cannabis light” (con un principio attivo inferiore allo 0,2 per cento) fuoriesce dall’ambito di applicazione del Testo Unico. Cosa si può dire però in relazione alla sua commercializzazione? La laconicità della L. 242/2016 non aiuta di certo. Visto però che la legge non la vieta espressamente, è da ritenere che sia lecita. Tuttavia, stando ad una Circolare del Ministero degli Interni del 31 luglio 2018, nonché a diverse pronunce del giudice della nomofiliachia, ai rivenditori di “cannabis light” non dovrebbe essere estendibile l’esonero della responsabilità in caso di sforamento dei parametri invece consentito ai coltivatori. Sul punto però c’è ancora molta incertezza interpretativa.
Canapa legale: Il consumo personale di “cannabis light”
Per quanto riguarda il consumo personale di “cannabis light”, non rientrando tra le finalità della L. 242/2016, non dovrebbe ritenersi consentito. Per questo motivo, chi venisse sorpreso a fumarla potrebbe venire sanzionato con un illecito amministrativo, poiché varrebbe la normativa del Testo Unico. Ciò spiega perché i prodotti Easyjoint (che in Italia ha il monopolio per la produzione e la vendita di “cannabis light”) nei reparti sigarette dei tabacchini abbiano tutti la dicitura “ad uso industriale“. Forse fa sorridere ma, essendo il panorama normativo contorto e il mercato così proficuo, si tendono ad adottare soluzioni particolarmente fantasiose.
Segui Termometro Politico su Google News
Scrivici a redazione@termometropolitico.it