Riforma “Università e Ricerca”: quando la politica italiana si dimostra poco coraggiosa

Pubblicato il 28 Settembre 2009 alle 13:15 Autore: Redazione

[ad]Alzi la mano chi non ha mai sentito questa critica. Io ho enorme rispetto per chi ha lavorato da quando ha 14-15 anni: i miei genitori sono nati a ridosso della Guerra, ed hanno dovuto come molti dei vostri genitori iniziare a lavorare subito poiché lo studio era un privilegio per pochi. Però i miei genitori hanno sempre affermato che se avessero potuto, avrebbero voluto studiare di più, perché la mancanza di conoscenze non ha permesso loro di progredire nella carriera professionale. Un giovane neolaureato DEVE fare gavetta come tutti quanti, deve irrobustirsi la spina dorsale, perché il mondo reale richiede forza di spirito e di animo, non solo conoscenze nozionistiche. Il chiagne e fotte è atteggiamento perdente e non porta da nessuna parte. Ma il neolaureato, una volta fatta la sua doverosa gavetta ha il DIRITTO di poter dimostrare al mondo produttivo chi è, cosa sa fare più di chi non ha studiato. Questo diritto gli viene invece negato. Come fai a dimostrare di essere un bravo ingegnere o un bravo economista se l’unica opportunità che ti viene data è di lavorare in un call-center o come venditore co.co.co e non invece nel settore per cui hai studiato?

Perché le Università non instaurano rapporti diretti con le aziende, la Confindustria, la Confcommercio, banche, finanziarie, centri di ricerca professionali? Perché fanno solo studiare montagne di equazioni e codicilli, a memoria, senza alcun riscontro pratico?

Altro dato da non sottovalutare e legato a quanto ho appena esposto: poiché le Università italiane sono attanagliate dalle raccomandazioni vigliacche e barbare, la votazione di uno studente può risultare falsata. Come faccio io imprenditore a stabilire se il tuo 110 e lode sia vero e più meritevole di un 92 di un altro studente? Ti devo mettere alla prova. Secondo me, un pessimo bagaglio culturale che ci portiamo dietro dal famoso “18 politico”. Quel sistema è stato il vero demolitore della competizione del sistema educativo italiano, perché ha immesso nel mercato e nella società tutta troppi mediocri lavoratori ed ha nascosto i più bravi, i più meritevoli. Quelli che poi sono probabilmente scappati all’estero per la frustrazione. Ed oggi i detrattori della ricerca e dei ricercatori si rifanno, in parte anche giustamente, a questo sistema pessimo e deplorevole. I mediocri devono essere allontanati per lasciare spazio a chi quel posto se lo merita. La politica è colpevole in prima istanza di questo degrado.

Come possiamo quindi, noi ricercatori meritevoli e non raccomandati, dimostrare che i nostri voti, i nostri risultati, i nostri lavori siano veri, importanti, meritati sul campo col sudore della nostra fronte? E come possiamo avere finalmente una possibilità di riscatto?

Dobbiamo far capire alla politica italiana che è FINITO IL TEMPO DELLA CODARDIA. Dobbiamo far capire a tutta la classe politica italiana, rea di questo sistema di cose, che è finito il tempo delle raccomandazioni, è finito il tempo dei concorsi pubblici truccati. Che è finito il tempo della politica la quale mette il becco laddove non le compete e dove crea solo danni. E’ finito il tempo dell’Università in cui emerge il nipote del Sig.re Rossi solo perché ha questa parentela. E’ finito il tempo in cui si assumono persone in base alla casata e non ai curricula. E badate bene, questa benedetta riforma deve essere fatta in modo trasversale, da persone competenti, sotto il vaglio di noi ricercatori stessi. Come noterete, una tal riforma non ha alcun colore partitico. Non è né di destra né di sinistra. E’ unicamente una riforma giusta e corretta.

Dobbiamo esigere fatti e non parole scritte in leggi e leggine e per farlo noi ricercatori, vivendo sulla stessa barca, dobbiamo finalmente agire uniti e compatti, lasciando perdere le diversità politiche, la vera sciagura che ci ha portati ad avere l’1,1% di PIL in ricerca.

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