Perché serve un nuovo paradigma del pensiero economico
Un recente articolo di Keiichiro Kobayashi (Senior fellow del Research Institute of Economy, Trade & Industry (RIETI) rappresenta un interessante sforzo di comprensione e di gestione dell’attuale crisi che è nata come crisi finanziaria. Esso rappresenta un concreto esempio di come il vivace dibattito intellettuale nato tra gli economisti per non essere riusciti a vedere i segnali premonitori di una crisi sistemica sia dialettico ma man mano sia produttivo di risultati concreti che tendono ad erigere degli argini per limitare macroscopici errori futuri.
Per svolgere il suo ragionamento l’economista raffronta quanto accaduto durante la dura crisi che travagliò il Giappone fino al 2001 con le politiche poste in essere negli USA ed in Europa. Il meccanismo della crisi fu l’esplosione della bolla immobiliare con conseguenze devastanti sulle banche ed il sistema finanziario. Durante quegli anni, il Giappone avviò imponenti piani di opere pubbliche ed imponenti tagli fiscali senz sortire risultati fino al momento nel quale si cominciò ad intervenire sul risanamento dei bilanci delle banche con fusioni e robusti interventi di ricapitalizzazione e, parallelamente, furono avviate ristrutturazioni delle imprese giapponesi pesantemente indebitate. A seguito di questi interventi fu ristabilita pienamente la fiducia al sistema e l’economia riprese a tirare. Quanto è stato fatto da governi e banche centrali durante questa crisi, ricalca i primi provvedimenti giapponesi ma dopo un anno e più non sono stati affrontati i temi delle regole necessarie a prevenire i rischi sistemici, non si è accentrato alcun sistema di vigilanza negli USA né in Europa dove esso è suddiviso tra tutti gli stati. Ma soprattutto, permane la fragilità di molte banche nelle quali non è ben chiaro quanto ancora ci sia di titoli tossici. Il risanamento delle banche e dei grandi debitor, sostiene Kobayashi è la condizione primaria per una ripresa solida dell’economia. Il punto di maggior rilevanza nel ragionamento dell’economista è che occorra un nuovo paradigma che tenga conto di elementi emersi in questa crisi.
[ad]Nei modelli economici di varie tendenze, gli agenti sono famiglie, imprese e settore pubblico con la finanza a fare da velo (innocuus veil) tra questi tre agenti. E le sofferenze bancarie vengono ritenute una questione microeconomica pertinente al sistema finanziario. Questa crisi ha rivelato l’importanza fondamentale dei non performing assets e rende necessario introdurre anche gli intermediari finanziari nei modelli macroeconomici con pari dignità rispetto ai tre classici agenti. Il nuovo paradigma di cu parla Kobayashi dovrebbe soddisfare alcuni requisiti:
1.Focus sulle istituzioni finanziarie quali mezzo di scambio e sulle condizioni che potrebbero rendere mal funzionanti gli internediari;
2.Il nuovo approccio macroeconomico fornirebbe una cornice unitaria entro cui discutere di costi ed efficacia delle risposte politiche all’attuale crisi in un contesto integrato entro il quale politche fiscali e monetarie e sistemazione di bad assets possano essere messi in raffronto e si possa attribuire a tutti e tre gli elementi il peso (weightings) relativo;
3.Per fornire una cornice unificata di analisi politica, questo nuovo approccio dovrebbe con facilità saper inserire un modello di crisi finanziaria in un modello standard di ciclo economico ( ad esempio modelli di ciclo economico stocastico o dinamico).
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[ad]In un approccio siffatto, Kobayashi ha provato a costruire un modello rispondente ai tre requisiti. HHa compiuto l’ulteriore passo di considerare le attività immobiliari come mezzi di scambio dato lo sviluppo dei mercati tenendo conto che queste attività mezzi di scambio non sono più nei momenti di crisi finanziaria. Un modello di tal tipo, consente di considerare la crisi finanziaria come una scomparsa dei mezzi di scambio la quale determina una caduta della domanda aggregata. In tali contingenze, sia le politiche macroeconomiche (pokitica fiscale e monetaria) sia la gestione delle attività in sofferenza possono essere interpretate come mirate allo steso scopo: ristabilire condizioni adeguate nei mezzi di pagamento. Insomma si potrebbero confrontare ed analizzare le politiche in un contesto integrato.
Se le politiche macro-economiche e la stabilizzazione finanziaria attraverso il trattamento delle attività in sofferenza sono progettate per eliminare la stessa esternalità, allora la stabilizzazione finanziaria cessa di essere solo un problema della comunità finanziaria. E diventa cruciale per la ripresa di tutta l’economia. Ne consegue che l’ideazione e la messa in opera di politiche capaci di trattare gli asset in sofferenza, non sono più compito che andrebbe lasciato all’interno della sola comunità finanziaria. Gli economisti dovrebbero apertamente discutere del come le politiche di stabilizzazione dovrebbero essere. Il trattamento degli asset in sofferenza , comprese le immissioni di capitale nelle istituzioni finanziarie ( una temporanea nazionalizzazione) e la riabilitazione dei grandi debitori devono essere considerati contestualmente a stimoli fiscali ed al money easing con una nuova consapevolezza che anch’essi costituiscono politiche macroeconomiche. E’ probabile che si debba adottare un nuovo paradigma del pensiero economico.
di Gobettiano ed il suo omonimo blog su “La Stampa”.