di Bourbaki, tratto dal suo omonimo blog
Secondo la mappa del rischio idrogeologico curata dall’Agenzia per la protezione dell’Ambiente e Tutela del Territorio, sulla base degli ultimi dati disponibili aggiornati a gennaio 2003, sono 5.581 (il 70% del totale dei comuni italiani) i comuni a rischio idrogeologico, di cui 1.700 a rischio frana, 1.285 a rischio alluvione e 2.596 a rischio sia di frana che di alluvione.
Calabria, Umbria e Valle d’Aosta sono le regioni con la più alta percentuale di comuni classificati a rischio (il 100% del totale); seguono Marche(99%), Toscana (98%) e Lazio (97%). La dimensione del problema tuttavia non può essere trascurata anche nelle regioni con il minor numero di comuni a rischio. Ad esempio, in Sardegna (11% dei comuni a rischio), le frane e le alluvioni degli ultimi anni, come quella dello scorso ottobre nella provincia di Cagliari, hanno provocato vittime e danni ingenti.
Nel novembre 2008, Legambiente e il Dipartimento della Protezione Civile hanno condotto un’indagine, denominata Ecosistema Rischio, per conoscere la reale condizione dei comuni italiani considerati a rischio idrogeologico e valutare le attività messe in opera dalle amministrazioni locali per la prevenzione e la mitigazione del rischio. Meno di un terzo (27%) dei comuni a rischio ha risposto all’indagine, fornendo il quadro di un paese che nonostante le ripetute tragedie è sempre molto accondiscendente verso abusivismo, disboscamenti irrazionali, disinvoltura nel rimaneggiare piani regolari ed edificare con materiali di scarto.
Secondo i dati dell’indagine di Legambiente, il 77% dei comuni intervistati ha nel proprio territorio abitazioni in aree golenali, in prossimità degli alvei e in aree a rischio frana. In quasi un terzo (29%) sono stati costruiti in tali aree interi quartieri, e nel 56%, addirittura, sono presenti in aree a rischio fabbricati industriali.
Nel 42% dei comuni non viene svolta regolarmente un’attività di manutenzione ordinaria dei corsi d’acqua e delle opere di difesa idraulica. Soltanto il 5% dei comuni intervistati ha intrapreso azioni di delocalizzazione di abitazioni dalle aree esposte a maggiore pericolo e appena nel 4% dei casi si è provveduto a delocalizzare gli insediamenti industriali.
Il 73% dei comuni ha sì realizzato opere di messa in sicurezza dei corsi d’acqua e dei versanti, ma si tratta di interventi che spesso rischiano di accrescere la fragilità del territorio e di trasformarsi in alibi per continuare ad edificare lungo i fiumi, come spesso avviene in Piemonte, Veneto e Lombardia. Per quanto riguarda l’organizzazione del sistema locale di protezione civile, l’82% dei comuni si è dotato di un piano di emergenza da mettere in atto in caso di frana o alluvione, ma soltanto il 57% dei piani risulta aggiornato negli ultimi due anni. Un comune su quattro non fa praticamente nulla per prevenire i danni derivanti da alluvioni e frane.
In dettaglio per quanto riguarda la Sicilia, il 70% dei comuni è a rischio frana e alluvione. Il 95% ha costruito in aree a rischio idrogeologico, il 52% (quasi il doppio della media nazionale) ha in tali aree interi quartieri e solo il 29% (contro il 57% della media nazionale) possiede un piano di emergenza aggiornato negli ultimi 2 anni.
Bibliografia:
Casagli et al. (2008) Monitoraggio e mappatura rapida dei rischi idrogeologici per le attività di Protezione Civile (link)
Legambiente. Ecosistema Rischio (link)