È risaputo che le tipologie di contratti di lavoro oggigiorno sono davvero tante. Una di queste – il cosiddetto contratto di lavoro a chiamata – merita qui di essere analizzata e chiarita, vista la mole di applicazioni pratiche che essa ha.
Contratto a chiamata: che cos’è e quali finalità e natura giuridica ha
Preliminarmente occorre definire che cos’è un contratto di lavoro a chiamata, anche detto contratto a intermittenza, job call o lavoro intermittente. Esso inquadra prestazioni di lavoro di tipo occasionale, cioè relative a lavoratori chiamati a lavorare, quando ce n’è maggior bisogno. La finalità dell’introduzione (peraltro recente) del contratto a chiamata, è stata quella di sostituire i voucher INPS, i quali furono aspramente criticati sia da classe politica che sindacati per la loro presunta inadeguatezza. Va anche detto che modi, luogo e tempo della prestazione sono fissati dal datore di lavoro; ne consegue che tale contratto rientra senza dubbio tra i contratti di lavoro subordinato. Svariati peraltro sono i settori in cui può esser applicato (ristorazione, spettacolo, turismo ecc.).
Contratto a chiamata: gli obblighi di avviso in capo al datore di lavoro e le sanzioni
Una delle caratteristiche peculiari del lavoro a chiamata è l’obbligo di avviso in capo all’azienda o datore di lavoro. Egli infatti, ogni volta che esegue la chiamata nei confronti del lavoratore, deve per legge svolgere una comunicazione preventiva (via SMS) verso il dipendente stesso. Ciò se la prestazione deve essere fatta entro le 12 ore successive alla chiamata. In alternativa può utilizzare la posta elettronica, inviando una e-mail entro 30 giorni ad un indirizzo PEC. Qualora il datore di lavoro non rispetti tale obbligo, in virtù di quanto disposto da uno dei decreti attuativi del Jobs Act, dovrà pagare una sanzione pecuniaria che va da un minimo di 400 euro ad un massimo di 2400 euro.
L’accettazione della chiamata, di per sè, non è obbligatoria: lo è soltanto laddove sia prevista una indennità di disponibilità, prevista come compenso al lavoratore nei periodi in cui non lavora; la quale però lo obbliga a essere reperibile e ad eseguire la prestazione concordata.
Contratto a chiamata: quali sono i requisiti obbligatori previsti dalla legge
Il legislatore è tassativo sul piano dei requisiti, che debbono essere tutti rispettati per la sua validità sul piano del diritto del lavoro. Anzitutto, tale contratto deve avere forma scritta. Poi deve indicare la durata: cioè se è tempo determinato o indeterminato; necessaria è anche la specifica causale del ricorso a questo contratto. Altresì obbligatori sono i dati relativi alle modalità di svolgimento del lavoro, i tempi, il trattamento economico e normativo. Vediamo quindi come il lavoratore a chiamata sia comunque ampiamente tutelato dalla legge, pur essendo in presenza di un contratto di lavoro “flessibile”.
Contratto a chiamata: retribuzione, contributi e dimissioni
A questo punto occorre fare chiarezza su alcuni aspetti chiave. Anzitutto, sul piano retributivo, vige il cosiddetto principio di proporzionalità; ciò implica che al lavoratore a chiamata deve essere garantito uno stipendio dello stesso valore di quello di un lavoratore che svolga le stesse mansioni e di pari livello, pur con un contratto di lavoro differente. I lavoratori a chiamata hanno pertanto il diritto alla stessa retribuzione oraria. Dal punto di vista contributivo, essendo in gioco un contratto di lavoro subordinato, sarà il datore di lavoro ad espletare le formalità richieste al fine del versamento dei contributi ai fini pensionistici. Il versamento sarà proporzionale alle ore effettivamente lavorate. Potrebbe accadere non di rado che i contributi siano esigui; allora la legge consente che il lavoratore integri attraverso la contribuzione volontaria.
Infine, circa l’eventualità delle dimissioni, è pur sempre in gioco un vincolo: ciò significa che occorre rispettare il preavviso previsto dal contratto di categoria. Occorre poi distinguere, a seconda che si tratti di contratto a tempo indeterminato o determinato. Nel primo caso, è sufficiente licenziarsi rispettando i termini; nel secondo caso, non è possibile che una delle parti receda a meno che non sussista una giusta causa. In altre parole, ciò comporta che, laddove il dipendente si dimetta, il datore di lavoro può trattenere dalla busta paga l’importo che ammonta a quanti mesi mancano dal termine del contratto. Ciò a meno che dipendente e datore si accordino diversamente.
Se ti interessa saperne di più sulla validità della notifica a mezzo PEC, leggi qui.
Segui Termometro Politico su Google News
Scrivici a redazione@termometropolitico.it