Abbiamo già parlato recentemente di residenza e differenza rispetto al concetto di domicilio (leggi qui per conoscere la differenza). In questo articolo analizziamo l’illecito dell’indicazione di una falsa residenza e delle conseguenze che esso comporta. Ciò anche dato che una tale infrazione al Codice Penale è quanto mai diffusa oggigiorno.
Falsa residenza: modalità e finalità dell’attuazione e rapporti con il reddito di cittadinanza
Negli ultimi anni, un evento come la dichiarazione di falsa residenza non è inusuale. Con il ritorno dell’obbligo di versamento delle imposte patrimoniali sugli immobili (e si fa riferimento ad IMU e TASI), molti cittadini piuttosto scaltri hanno pensato di architettare qualche artificio per aggirare tali doveri fiscali (e ottenere un risparmio fiscale immeritato, attraverso benefici, agevolazioni o sconti). Pertanto c’è chi ha ritenuto una buona idea dividere la residenza dei componenti della famiglia in abitazioni differenti. È il caso ad esempio dei coniugi che, pur appunto sposati, vivono in due abitazioni diverse, oppure è l’eventualità dei figli che pongono una residenza a se stante. Tutto ciò con le modalità della dichiarazione di falsa residenza, magari addirittura in una abitazione vuota l’intero anno.
Particolare, di questi tempi, non di poco conto è poi che la dichiarazione di falsa residenza può essere utile ad eludere gli stringenti controlli sui requisiti per ottenere il reddito di cittadinanza. Specialmente in alcune città italiane, si sta verificando in queste settimane, una vera e propria corsa ai cambi di residenza, in una sorta di escamotage per sfoltire gli stati di famiglia, rientrare nei paletti posti dal legislatore e accaparrarsi quindi l’agognato reddito.
Falsa residenza: di che reato si tratta e quali sanzioni si rischiano
Vediamo ora perché è inopportuna una prassi di questo tipo e come quindi la legge esegue controlli e punisce gli autori di questo illecito. Anzitutto occorre richiamare il concetto di dimora abituale, da cui discende quello di residenza. La dimora abituale è il luogo dove una persona o una famiglia, vivono in modo continuativo ed abituale durante l’anno. Una volta individuata l’abitazione oggetto di dimora abituale, quella sarà – per la legge – la loro residenza. È chiaro che la residenza può essere data ad un solo Comune: in queste circostanze, la si usa quindi definire “residenza anagrafica”. La procedura del cambio di residenza è peraltro regolata dalla legge, con precetti ed iter da seguire in modo rigoroso.
Ne consegue che lo spostamento di residenza è legale solo se, contestualmente, è spostata nello stesso luogo anche la dimora abituale. Per verificare ciò, la legge autorizza la polizia municipale e i funzionari comunali ad effettuare controlli. E, qualora emergano irregolarità, colui che abbia indicato una falsa residenza, sarà punito ai sensi dell’art. 483 del Codice Penale. Si tratta del cosiddetto falso in atto pubblico. E la pena prevista può arrivare anche alla reclusione pari a due anni. Nel particolare caso in cui sia accertato che il reato è stato commesso per ottenere il reddito di cittadinanza – secondo le attuali novità del Governo – la reclusione potrà essere anche di 6 anni.
Falsa residenza: anche l’Agenzia delle Entrate è autorizzata a fare controlli
I casi più tipici di dichiarazione di falsa residenza sono quelli legati alla volontà di eludere i doveri fiscali; pertanto anche l’Amministrazione Finanziaria, vale a dire l’Agenzia delle Entrate, può disporre controlli per accertare eventuali situazioni anomale o cambi di residenza che possano essere ritenuti artificiosi e falsi. In questi casi, lo Stato ben potrà revocare la residenza e gli eventuali benefici fiscali (con annesso pagamento di IMU e TASI). E potrà anche revocare il beneficio del reddito di cittadinanza, dato che – tra i vari requisiti di questo strumento – c’è anche quello legato alla residenza.
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