Gli opposti s’incontrano
Qualche settimana fa è divampata la polemica sull’IRAP. L’idea del presidente del consiglio fu lanciata dal Sottosegretario Gianni Letta all’insaputa del ministro del Tesoro dando origine a qualche settimana di tensione nella maggioranza che non ancora sopita continua sotto traccia allargata ad altri temi. Mette conto tornare su quella polemica. Gli interventi sul tema si sono sprecati ad opera di maggioranza, opposizione e considerazioni più tecniche espresse da tecnici ed economisti. In particolare sono rimarchevoli gli interventi di Vincenzo Visco su vari quotidiani, ma anche sul sito della Fondazione NENS (qui il link ad una pagina riassuntiva) di cui Visco è animatore ma anche su La Voce dove questi difende, a ragione, la razionalità economica dell’imposta.
[ad]A titolo di cronaca, va ricordato che l’IRAP fu introdotta dal Governo Prodi nel 1997 quando il Ministero delle Finanze era retto proprio da Visco. Va anche sottolineato il valore simbolico che l’idea della riduzione dell’IRAP suggestivamente presenta: essa è un’imposta odiata profondamente per ragioni chiare che però nulla tolgono alla sua razionalitàà economica. Questa premessa serve a far capire che per diversi motivi, Visco è contrario ad interventi sull’IRAP vuoi per la razionalità e la neutralità fiscale che attribuisce all’imposta, vuoi per le condizioni di finanza pubblica, vuoi per il maggior tasso di urgenza che egli attribuisce ad interventi sulla fiscalità che colpisce il lavoro dipendente. In sostanza, ad opinione del nostro, l’impossibilità di tagli fiscali al momento, rende indispensabile agire a sostegno dell’economia per altra via che identifica con riforme degli ammortizzatori sociali ed interventi sulle pensioni.
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[ad]L’aspetto singolare di questa posizione è che essa coincide quasi perfettamente con quella del ministro tremonti che da Visco è diviso non solo dalla politica ma anche da contrasti meno oggettivi e più personali. Anche tremonti in effetti ritiene improponibile toccare l’IRAP e la misura della fiscalità mancando le risorse ma rifiuta interventi sulle pensioni essendo contrario, come lui stesso afferma, ad usare le pensioni come un bancomat anche per la situazione di equilibrio che attribuisce al sistema pensionistico dopo l’ultima intervento sull’età pensionabile contenuto nella manovra d’estate. Vale la pena ricordare a titolo di sostanza ma condito con un pizzico di amaro umorismo, l’articolo pubblicato su La Voce da Boeri e Brugiavini dal titolo
Una riforma che vale quanto Kakà. Il paradosso di queste posizioni di Visco e Tremonti è che sono entrambe ‘rigoriste’ e rispettose dei dettami europei sulla finanza pubblica ma soprattutto dimostrano che entrambi sono dei sostenitori dell’efficacia degli interventi di politica economica dal lato della domanda. Il che, tradotto, vuol dire spesa pubblica a tutta birra per sostenere l’economia ed innescare il mitico acceleratore keynesiano.
Troppo complicato e lungo approfondire la consonanza di fatto di questi due ex antagonistici personaggi che arrivano alle medesime conclusioni partendo da punti di vista opposti. Ma il tema di fondo del ragionamento dovrebbe essere teso a verificare se queste posizioni servono, sono servite e serviranno davvero all’economia. Sarebbe utile tener presente che da decenni la politica economica italiana dipende dalla spesa pubblica con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti con l’aggravante che, con la debole, inconsistente motivazione della crisi, si è dato di piglio ad un dirigismo che ricorda i tempi più bui dell’intervento dello Stato nell’economia. Ne fanno parte la BanCa(ssa) del Mezzogiorno di prossima costituzione insieme alle Poste, campioni di monopolismo piuttosto che la logica che si è preteso di attribuire ai tremonti bond passando per la robin tax. Le posizioni di entrambi sono insomma la prosecuzione con altri mezzi o con gli stessi mezzi, delle politiche che hanno condotto il paese fin qui.
E’ una logica che necessariamente guarda al futuro ma avendo davanti agli occhi uno specchio che riflette il passato ed è la stessa che ad opera del CIPE ha bloccato 800 milioni stanziati per implementare le reti telematiche, vero motore del futuro e viceversa ha autorizzato 1,3 miliardi per la progettazione del Ponte sullo stretto la cui sostenibilità economica è assolutamente incerta se non improbabile e non tiene neppure conto dell’evoluzione dei flussi di traffico merci e passeggeri da e verso la Sicilia né del trend del traffico che conferma l’azzardo materiale e morale della costruzione del Ponte. E’ spiacevole dover constatare che dopo i gravi errori dell’abolizione dell’ICI e dopo l’orribile operazione Alitalia che hanno comportato impiego del tutto irrazionale di risorse immense, sia seguito un periodo che dura tuttora di immobilismo ed attesa degli eventi rallegrato dall’umoristico gaudio per l’indice CLI misurato dall’OCSE che tutto misura fuorchè la ripresa o per le sciocchezze sul sorpasso del PIL inglese tale solo se colpevolmente o strumentalmente si dimentica il relativo valore della sterlina che si è pesantemente svalutata rispetto all’€uro.
C’è da temere che lo statalismo eccessivo che connota la gran parte degli uomini politici di tutti gli schieramenti, unito alla idiosincrasia per il cambiamento e la modernità, impedisca di compiere quegli sforzi di fantasia operativa che, per essere davvero utili al paese, non possono che essere innovativi e quindi discostarsi dall’ostinata, perdente idea di intervenire dal lato della domanda-spesa pubblica. E’ di riduzione di tasse che bisogna parlare, di solidi interventi dal lato dell’offerta. Se ne sarebbe dovuto parlare all’inizio della crisi, 20 mesi fa accompagnando l’iniziativa con dei vincolanti impegni di riduzione strutturale della spesa nessun capitolo escluso. Dopo 20 mesi passati rimanendo quasi immobili, tutto è più complicato ma questo non toglie che continuare con l’invadenza dello Stato e con la spesa pubblica, non andremo da nessuna parte.
di Gobettiano ed il suo nuovo sito.