DDL Ronchi. Proviamo ad essere pragmatici
DDL Ronchi. Proviamo ad essere pragmatici
Sul Disegno di legge Ronchi, quello che contiene l’art. 15 oramai famigerato che disciplina la privatizzazione dei servizi pubblici tra cui la distribuzione dell’acqua, moltissimo si è detto e si è scritto. Anche su Termometro Politico sono stati pubblicati documentati ed interessanti articoli. L’acqua è un moloch nella considerazione delle opinioni pubbliche per ragioni evidenti ed è certamente una risorsa delicatissima per la sua funzione di elemento vitale per la sopravvivenza umana. E questo rende l’argomento ancora più delicato per le valenze ideologiche, sociali ed economiche che al tema sono sottese ed implicite.
Molti articoli riportano esempi, casi di privatizzazioni mal riuscite e peggio gestite che hanno comportato maggiori costi per i cittadini e, in qualche caso, neppure un servizio di miglior qualità. Tutto vero. Ma infine le singole casistiche non significano molto e non sono affatto generalizzabili. Quanto a questo, in Italia esistono casi di municipalizzate che si occupano positivamente della distribuzione, rispettando i criteri della buona gestione condotta con privatistici criteri di economicità ed efficienza.
Una norma di legge, qualunque sia l’argomento che intende disciplinare non può che essere generale e tener conto dello stato di fatto del contesto disciplinato. Lo stato di fatto italiano, per quanto inerisce i servizi pubblici locali rappresenta una formidabile fonte di perdite economiche che ricadono sui contribuenti e, nel contempo, sono dei centri di potere clientelare le cui inefficienze ed i cui costi, oltre che sui bilanci delle municipalizzate ricadono sulla fiscalità generale e di nuovo sulle tasche dei contribuenti. Questo accade nella generalità dei casi sicchè a poco valgono gli esempi di cattive privatizzazioni della distribuzione dell’acqua affidata a privati in questa o quella parte del mondo.
[ad]Di fatto le aziende italiane del settore dell’acqua, quelle che operano nell’ambito territoriale convenzionale degli ATO, hanno offerto in generale pessima prova sotto il profilo dell’efficienza, dell’economicità, della gestione delle prospettive e della governance. Il punto dal quale partire è questo. I miliardi di metri cubi di acqua dispersi nelle condutture malandate oltre che poco e male mantenute da decenni ne rappresentano la più dura ed indiscutibile prova. Al di là quindi di orientamenti culturali e politici più o meno favorevoli alle privatizzazioni, il criterio di un sano pragmatismo sarebbe una soluzione che, se non altro, servirebbe non solo a smontare delle camarille partitico-politiche ma a perseguire una strada differente rispetto a quella dimostratasi deleteria seguita fin qui.
Chi scrive, favorevole alle privatizzazioni, si sarebbe aspettato qualcosa di diverso. Innanzitutto un dibattito pubblico trasparente su argomenti di tale delicata rilevanza che trovasse la sua finalizzazione in una norma specifica e non in una norma caravanserraglio dove c’è quasi di tutto ed in più una serrata discussione sul come realizzare l’operazione visto che le pubbliche utility sono dei monopoli naturali la cui gestione confacente all’interesse pubblico è strettamente funzione del modo nel quale viene disciplinata e controllata nel suo divenire successivo. La meraviglia nasce dall’esperienza di passate privatizzazioni come quella di TELECOM, delle autostrade o della stessa Alitalia che in realtà hanno rappresentato il passaggio puro e semplice del monopolio pubblico e delle conseguenti rendite in mani private. E queste non sono privatizzazioni ma operazioni di potere. Cosa radicalmente diverse e deleteria.
Da questo punto di vista, il dibattito latita mentre è in realtà il centro della questione.
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