In occasione dell’audizione in commissione Lavoro alla Camera, il consigliere dell’Ufficio parlamentare di bilancio Alberto Zanardi ha parlato di reddito di cittadinanza e Quota 100, le due misure principe di questo governo. In particolare ha analizzato a fondo il reddito di cittadinanza, esaminandolo a breve e a lungo termine e specialmente andando a definire quanti soldi danno realmente. Dagli iniziali 780 euro le cifre reali sono drasticamente scese.
Preliminarmente l’Upb ha definito il reddito di cittadinanza tramite la distinzione con il Rei, soprattutto perché la prima misura incrementa il livello di soglia di selettività, nonché dei beneficiari e dell’importo del sussidio, e per finire delle risorse pubbliche destinate al finanziamento della misura. Le stime sui beneficiari del reddito di cittadinanza incluse nel provvedimento sono state confermate dall’Upb.
Reddito di cittadinanza: i dati da Nord a Sud
Ciò che emerge dall’analisi dei beneficiari è la netta distinzione tra Nord e Sud. Infatti, il 56% dei nuclei beneficiari risiede al Sud e nelle isole. Solo il 28% circa, invece, risiede nel Settentrione. Con l’obiettivo di favorire una copertura della povertà a livello nazionale, la geografia del reddito di cittadinanza vira verso una direzione differente. “La percentuale dei nuclei beneficiari è prossima a quella dei nuclei in povertà assoluta nel Mezzogiorno”. Si parla di 8,4% al Sud e del 9,8% nelle isole, con un’incidenza della povertà assoluta del 10,2% e del 10,5% rispettivamente.
Diverso il discorso al Centro e al Nord. In particolare nel Settentrione, il reddito di cittadinanza raggiunge il 3,1% nel Nord-Ovest e il 2,6% nel Nord-Est, contro un’incidenza della povertà assoluta ammontante rispettivamente al 5,7% e al 4,8%. A incidere su questi numeri “la forte eterogeneità territoriale delle soglie di povertà”; ma anche “l’esclusione di una fetta della platea degli stranieri”, più presenti al Nord e dunque influenti nelle percentuali di beneficiari più ridotte.
Reddito di cittadinanza: la ripartizione per area geografica
Reddito di cittadinanza: nuclei familiari, a chi conviene di più?
Un altro risultato emerso dall’analisi sul reddito di cittadinanza corrisponde alla convenienza della misura. Che sarà in misura maggiore per i nuclei familiari meno numerosi. “Per i monocomponenti i beneficiari sono pari all’84% del totale dei poveri assoluti (4,4% l’incidenza dei beneficiari, contro un’incidenza della povertà assoluta del 5,2%) rispetto a circa il 77% per i nuclei con più di quattro componenti”. Sotto questo aspetto la stortura è evidente: i nuclei familiari numerosi, solitamente più bisognosi si ritrovano quasi alla pari dei nuclei familiari meno numerosi. La responsabilità è da addursi a una scala di equivalenza che tuttavia risulta più piatta rispetto a quelle che vengono utilizzate generalmente nelle misure di sostegno sociale o in quelle iniziative a favore dei nuclei familiari più numerosi.
Reddito di cittadinanza e lavoro: gli obblighi dei beneficiari
Come è ben noto il reddito di cittadinanza non rappresenta solo una misura di sostegno e di lotta contro la povertà. Ma anche un’opportunità per il reinserimento nella sfera occupazionale. Questo dovrebbe essere determinato da una riorganizzazione e ottimizzazione dei centri per l’impiego. Stando al report dell’Ufficio parlamentare di bilancio, basato sulle dichiarazioni Isee 2017, “il 37% dei nuclei risulterebbe senza obblighi di alcun genere, il 26% verrebbe almeno inizialmente inserito nel percorso lavorativo e il restante 37% in quello di inclusione gestito dai Comuni”.
Sempre sotto l’aspetto del lavoro l’Upb evidenzia alcune criticità. Tra queste si evidenzia “la debolezza degli incentivi a partecipare spontaneamente all’attività lavorativa”. Inoltre “i soggetti che lavorano e che percepiscono salari bassi avranno una disponibilità economica uguale a quelli che non lavorano”. Altro rischio è che il reddito di cittadinanza “potrebbe spiazzare segmenti del mercato del lavoro – soprattutto al Sud – caratterizzati da retribuzioni particolarmente modeste eventualmente dovute a rapporti part-time o di collaborazione, per i quali l’attività lavorativa non risulterebbe economicamente conveniente”.
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