Quando l’ora di religione è islamica – DAL BLOG
In alcune scuole europee l’insegnamento della religione islamica è ormai una realtà. Se n’è parlato giovedì 7 marzo 2019, all’interno della conferenza annuale della European Academy of Religion
Quando l’ora di religione è islamica – DAL BLOG
In alcune scuole europee l’insegnamento della religione islamica è ormai una realtà. Se n’è parlato giovedì 7 marzo 2019, all’interno della conferenza annuale della European Academy of Religion, a Bologna.
Spagna: un programma nazionale per l’ora di religione islamica
Uno degli esempi è quello della Spagna, presentato da Mariana Rosca (Università di Deusto), in un contesto in cui il 68% degli abitanti si definisce cattolico, ma solo il 15% partecipa alla messa domenicale. Gli atei sono l’11%, i non credenti il 16%; le minoranze religiose – quella islamica è presente da 1300 anni – raggiungono uno scarso 3%; tuttavia, hanno ricevuto una nuova visibilità nella sfera pubblica.
Nonostante i primi interventi normativi risalgano agli anni ’90, solamente nel 2016 è stato presentato il primo programma nazionale per l’insegnamento della religione islamica. Nelle scuole primarie si insegnano i valori dell’Islam, la vita del Profeta Maometto, il rispetto verso il creato, le persone, le tradizioni culturali, le diversità di genere e quelle religiose. In quelle secondarie si affronta anche il problema della libertà, del ruolo dell’Islam nella società e della pratica religiosa. Nelle classi superiori, infine, il programma spazia dalle scienze coraniche e sui detti di Maometto alla storia del pensiero islamico, aprendosi al dialogo interreligioso.
Le famiglie (e, per quanto riguarda quelli più grandi, direttamente gli alunni) possono scegliere l’insegnamento di religione cattolica, evangelica, ebraica o islamica; in tal caso, i docenti, selezionati dalla Comisión Islámica de España, vengono stipendiati dallo Stato se hanno almeno 10 iscritti al corso, altrimenti possono comunque insegnare a titolo gratuito. Se non si sceglie un insegnamento religioso, c’è la possibilità di frequentare “storia delle religioni” oppure una materia alternativa. Pur con le difficoltà del caso – numeriche e anche qualche diffidenza verso un programma di educazione religiosa alla cittadinanza – la dottoranda ha mostrato l’importanza dell’insegnamento islamico nelle scuole spagnole. Infatti, oltre ad assicurare la libertà di scelta e di educazione, è un’ottima forma di prevenzione contro devianze terroristiche.
Serbia: ora di religione o di educazione civica
C’è l’esempio della Serbia, dove è obbligatorio scegliere tra una materia di educazione religiosa o una di educazione civica; questo causa qualche attrito e diffidenza tra i docenti, che ogni anno si contendono gli studenti. In Serbia gli ortodossi costituiscono l’85% della popolazione, seguiti da cattolici (3%), musulmani (3%) e protestanti (1%). Sette gruppi religiosi, incluse le comunità ebraica e islamica, sono riconosciuti come “tradizionali” dal governo e possono avere propri insegnanti nelle scuole, selezionati dalle amministrazioni scolastiche e dalla Commissione per l’Educazione della Religione, della quale fanno parte rappresentanti delle comunità religiose. Molte esperienze interessanti, anche in ambito di dialogo interreligioso, nascono dalla priorità che viene attribuita alle domande degli studenti; essi talvolta desiderano visitare moschee, sinagoghe, chiese di altre denominazioni cristiane.
Austria: riconosciuti anche gli Aleviti
In Austria, nazione che ha raggiunto l’8% di musulmani tra i suoi abitanti (700.000 su una popolazione di 8.700.000), sono 16 le comunità religiose riconosciute; esse si occupano di gestire, assumere, formare i docenti di religione e i libri di testo. Da parte sua, lo Stato assicura il rispetto della sicurezza e dell’ordine legale.
Tra le comunità religiose, dal 2013 la minoranza Alevita (60.000 secondo le stime) è riconosciuta come distinta rispetto a quella islamica; in 7 delle 9 regioni austriache ha 51 docenti per 140 scuole e più di un migliaio di studenti. I programmi – che includono aspetti dottrinari e di rispetto reciproco – restano ancora molto generici; i libri di testo sono disponibili solo per i primi anni delle elementari; l’insegnamento viene fornito in tedesco, ma le preghiere sono recitate in lingua turca. Vi è poi il problema che solo un terzo degli aleviti si riconosce nella comunità riconosciuta (Islamische Alevitische Glaubengemeinschaft in Osterreich), mentre un altro terzo aderisce alla Föderation der Aleviten Gemeinden in Österreich e un’altra minoranza di origine curda all’alternativa Alt-Alevitische Glaubensgemeinschaft in Österreich, che ancora più nettamente prendono le distanze dall’Islam.
Per quanto riguarda l’insegnamento della religione islamica, sono 606 i docenti per 2272 scuole e 73.346 studenti. Il programma dal 2011 si articola in 5 punti, che riguardano la tutela costituzionale delle minoranze, la partecipazione democratica e i diritti umani. Lo scopo è rafforzare l’identità islamica austriaca e riconoscere le diversità all’interno dell’islam e al suo esterno, educando al dialogo, anche interreligioso. Si mostrano la pari dignità di uomo e donna, la via morale del “giusto mezzo” e la piena compatibilità tra uno stile di vita islamico e l’appartenenza allo Stato austriaco. Anche in questo caso, un atteggiamento critico, costruttivo e paziente al tempo stesso aiuta ad affrontare i problemi che sorgono.
L’Italia: i nodi verranno al pettine
E in Italia? Il professor Marco Demichelis (Università di Navarra) ha illustrato le difficoltà legate agli studi accademici sull’Oriente, ripercorrendo la storia dell’ultimo secolo e i problemi connessi al colonialismo italiano. Soprattutto in epoca post-fascista, da un lato gli studi in ambito orientalistico sono stati percepiti come legati al regime precedente, dall’altro non si è mai fatto seriamente i conti sulla storia dell’espansione coloniale italiano. Il “baronismo” universitario, la carenza di risorse economiche e la litigiosità delle piccole istituzioni che si occupano di oriente hanno condotto a un progressivo declino degli studi accademici in islamistica. Oltre a ciò, la politicizzazione del tema, l’islamofobia e il terrorismo degli ultimi decenni hanno ulteriormente aggravato tale crisi.
Un problema riguarda l’insegnamento delle discipline storiche; i libri di testo italo-centrici spesso presentano un buco di un millennio tra i primi cenni su Maometto con le prime espansioni islamiche e la caduta dell’Impero Ottomano. In assenza di facoltà statali di studi religiosi, tutti i docenti di religione sono formati in ambienti ecclesiastici cattolici (istituti di scienze religiose o facoltà teologiche, non sempre all’altezza delle sfide interreligiose) eppure, poiché tra gli insegnanti sono sempre meno i preti, si aprono opportunità per una nuova generazione di professori laici, rilevava Demichelis.
Al momento, il quadro normativo italiano non permette al momento l’insegnamento della religione islamica accanto a quella cattolica.
Sarebbe difficile introdurla da un giorno all’altro, anche in assenza di una apposita formazione dei docenti. Tuttavia, con una popolazione di 1.500.000 musulmani in Italia (un quarto di essi ha cittadinanza italiana) di cui 300.000 studenti nelle scuole primarie e secondarie (più della popolazione di una città come Venezia), pare inevitabile che i nodi prima o poi verranno al pettine; si dovrà trovare una soluzione condivisa, facendo anche tesoro delle esperienze che in Europa sono già realtà.
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