In 7 anni persi circa mille euro all’anno. È quanto rilevato dal rapporto Retribuzioni e mercato del lavoro: l’Italia a confronto della Fondazione Di Vittorio. Nel dettaglio, in Italia dal 2010 le retribuzioni medie del lavoro dipendente sono diminuite del 3,5%, passando da poco più di 30 mila euro lordi l’anno a poco più di 29 mila. Una perdita, in termini assoluti, pari a mille e 59 euro.
Il report mette a confronto le retribuzioni del lavoro dipendente in Italia con quelle delle altre 5 maggiori economie dell’Eurozona: Belgio, Francia, Germania, Olanda e Spagna.
Busta paga 2019 e potere d’acquisto: in Italia persi mille euro all’anno
In prima istanza, dal raffronto emerge la stazionarietà di lungo periodo degli stipendi italiani, caratterizzati da oscillazioni molto contenute. Lo studio considera il periodo 2001-2017. L’evoluzione viene osservata a prezzi costanti per l’intera platea del lavoro dipendente, pubblico e privato. I dati retributivi sono riportati al livello dei prezzi del 2017. Le retribuzioni medie italiane reali appaiono inchiodate a quota 29 mila euro lordi annui: 28.939 nel 2001; 29.838 nel 2008; 30.273 nel 2010; 29.302 nel 2015; 29.512 nel 2016; 29.214 nel 2017.
Per quanto riguarda gli altri paesi, anche Olanda e Spagna vedono una contrazione salariale media tra il 2010 e il 2017, per un rispettivo totale di 110 euro (da 46.885 a 46.755, -0,2%) e 1.101 euro (da 29.165 a 28.064, -3,8%). Mentre in Belgio, Francia e Germania la retribuzione media annua del lavoro dipendente cresce. In Belgio di 648 euro (+1,5%), in Francia di 1.898 euro (+5%) e in Germania di 3.825 euro (+9,7%).
Busta paga 2019 e potere d’acquisto: il confronto con gli altri Paesi europei
Le retribuzioni italiane risentono della maggiore severità della crisi nel nostro Paese e anche della maggior lentezza nel recupero, come la Spagna. Oltre alla crisi, la stagnazione salariale del lavoro dipendente in Italia ha altre conseguenze, in parte intrecciate con il nostro mercato del lavoro. Rispetto alla media dell’Eurozona, l’occupazione dipendente in Italia soffre di una ridotta presenza nelle alte qualifiche (complessivamente quasi 7 punti percentuali in meno). Al contrario, è più alta, di oltre 2 punti percentuali, la quota delle professioni a bassa qualificazione.
Oltre a questo, sono altre due le variabili, spesso contestuali, che spiegano la riduzione salariale media in Italia: part-time e discontinuità lavorativa. La prima valutazione da fare è che i contratti part-time sono in crescita (+3,6% in 3 anni). La seconda che nel bel Paese la retribuzione media per il lavoro part-time è inferiore rispetto alla media dell’Eurozona (70,1% vs 83,6%).
Busta paga 2019 e potere d’acquisto: contratti part-time e discontinuità
Utilizzando i dati INPS dell’Osservatorio sui lavoratori dipendenti, il rapporto della Fondazione Di Vittorio mostra l’impatto di tempo parziale e discontinuità sulle retribuzione effettive degli occupati. I dati sono stati raccolti suddividendo il mondo del lavoro dipendente privato in otto gruppi: in base alla tipologia contrattuale, al regime di orario e alla presenza/assenza di discontinuità (periodo di lavoro inferiore all’anno intero).
In funzione delle variabili di classificazione utilizzate, la retribuzione media effettiva differisce radicalmente, passando dai 5,5 mila euro del tempo determinato discontinuo e part-time, agli oltre 35 mila euro dei lavoratori “completamente standard” (tempo indeterminato, full-time e senza discontinuità).
La platea dei non standard o “parzialmente standard” è molto ampia e in crescita, soprattutto nella sua componente maggiormente non standard. Tra il 2014 e il 2017 i dipendenti assunti a tempo determinato con discontinuità sono aumentati del 3,5%, per un totale di circa 3milioni e mezzo di lavoratori.
Degli oltre 15 milioni di lavoratori dipendenti presenti negli archivi dell’INPS, indipendentemente dalla quantità di lavoro prestata, nel 2017 ben 12 milioni hanno una retribuzione lorda inferiore ai 30 mila euro. Di questi, quasi 4,3 milioni hanno uno stipendio inferiore ai 10 mila euro lordi annui. Di contro, solo 3,2 milioni di dipendenti hanno una retribuzione imponibile INPS superiore ai 30 mila euro.
Busta paga 2019 e potere d’acquisto: il problema del potere d’acquisto
A questo si aggiunga, come dato anche consequenziale a quanto detto sopra, un arresto sul potere di acquisto degli italiani. Nella crisi e nella contrastata ripresa, in Italia, la tutela del potere di acquisto delle retribuzioni era già un obiettivo difficile da conseguire. E lo diventa ancora di più se questo è da coniugarsi con quello, altrettanto cruciale, di contenere l’emorragia occupazionale. Ed è proprio questo uno dei maggiori problemi.
I dati confermano che nelle economie avanzate non sono tanto i bassi livelli retributivi, quanto i pochi investimenti, pubblici e privati, a determinare il ristagno della base produttiva e occupazionale. In Italia, gli investimenti fissi a prezzi costanti nel 2018 sono stati pari a solo i 4/5 del livello del 2008. E se il numero di occupati è in aumento (oggi tornato ai livelli pre crisi), le ore lavorate per occupato sono indietro del -4,7%, mentre la qualità del lavoro è in peggioramento.
Conclude il report della Fondazione Di Vittorio: “Retribuzioni basse e ristretta base occupazionale, oltre a provocare gravi disagi alla condizione delle persone, sono una delle cause della permanente situazione emergenziale dei conti pubblici italiani”.
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