Immigrazione, giù i richiedenti asilo in Europa, soprattutto da Siria e Iraq

Immigrazione in Europa, crolla il numero di richiedenti asilo, soprattutto da parte di siriani, iracheni ed afghani, che però rimangono primi tra i profughi

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Immigrazione, giù i richiedenti asilo in Europa, soprattutto da Siria e Iraq

Appare come una bolla che si sgonfia. Dopo una fase di emergenza si torna alla normalità, o quasi.

Si tratta dell’arrivo di richiedenti asilo in Europa. Che sono solo un sottoinsieme, ricordiamolo, del fenomeno migratorio. Tuttavia importante negli ultimi tempi.

I dati Eurostat appaiono chiari. Gli arrivi di immigrati che poi chiedono protezione (quasi tutti provano a ottenerla) sono crollati negli ultimi due anni.

Si è passati da 1.256.610 richieste nel 2015 a 580.845 nel 2018. Il salto è stato tra 2016 e 2017 in realtà, quando c’è stato un dimezzamento.

Come mai? Anche in questo caso il quadro appare chiaro. Vi è stato un fortissimo calo dei richiedenti asilo provenienti dalla Siria, che nel 2015 rappresentavano circa un terzo del totale.

Questo a causa dell’acuirsi della guerra civile, della chiusura delle frontiere di alcuni Paesi dell’Est e dell’accoglienza decisa in Germania, in cui arrivarono quasi un milione di siriani.

L’accordo con la Turchia ha dirottato in quel Paese più di 3 milioni di profughi dalla Siria, e in parte anche dall’Iraq. Che è l’altro Paese da cui provenivano più richiedenti asilo. E anche in questo caso vi è stato un dimezzamento. Così come in quello degli afghani. Sono sempre di meno quelli che arrivano in Europa.

Rimangono invece piuttosto stabili i numeri dei profughi degli altri Paesi del mondo.

Immigrazione in Europa, siriani e afgani sempre primi tra i profughi

La situazione oggi appare di conseguenza molto più frammentata.

Dei 580.845 richiedenti asilo del 2018 i siriani sono sempre primi, 80.920, così come afghani e iracheni sono secondi e terzi, con circa 40 mila persone, ma queste tre nazionalità non rappresentano più la maggioranza come una volta.

Ci sono per esempio 24.705 pakistani, 23.195 iraniani, 22.120 nigeriani, e così via.

È degno di nota il fatto che i primi cinque Paesi per numero di profughi siano tutti a maggioranza musulmana.

Ben 240.180 profughi provengono da Paesi ognuno di quali è rappresentato da meno di 13 mila richiedenti asilo.

Il trend discendente continua anche negli ultimi mesi, seppur più lentamente

Immigrazione, la gran parte richiede asilo fuori dall’Europa

Allargando lo sguardo tuttavia è degno di nota il fatto che la gran parte dei profughi nel mondo richiede e ottiene asilo in Paesi non Europei.

Può sembrare paradossale, visto che comunque nel nostro continente l’immigrazione è ed è stata molto significativa. In Italia per esempio gli stranieri hanno sorpassato il 10%, ma in generale si è trattato soprattutto di arrivi per motivi di lavoro o più recentemente per ricongiungimento familiare, ma anche di immigrazione clandestina.

Tuttavia quella motivata dalla fuga da zone di guerra rimane una minoranza, complice il fatto che molte richieste, provenienti da chi emigrava per motivi economici, sono state respinte in Italia, in Grecia, e in altri Paesi obiettivi degli barchi dal Mediterraneo.

È altrove che sono invece la gran parte dei profughi. Per esempio in Turchia, come mostrato dall’UNHCR. In Turchia erano quasi 3,5 milioni, in aumento, a fine 2017. Erano siriani, iracheni, afghani, quelli che non avevano voluto o potuto andare in Europa.

Ma forse pochi sanno che in Pakistan vi sono circa 1,4 milioni di profughi, soprattutto dal vicino Afghanistan, così come in Uganda, dove arrivano dai confinanti Congo o Sud Sudan.

In Libano e in Iran ci sono circa un milione di persone provenienti da Siria, Irak, Afghanistan, anche in questo caso. Più che in Germania. Il primo Paese europeo di fatto arriva solo sesto in questa classifica.

L’immigrazione proveniente in Europa è dunque più che altro qualitativamente diversa.

Rispetto a quella riguardante Libano o Turchia è fatta da persone dal background culturale molto diverso da quello del Paese di approdo, per esempio. Il che pone problemi di integrazione che in altri Paesi del mondo, abituati ad ospitare popoli confinanti, sono meno presenti.

È la storia di questi ultimi anni

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