È ben noto che la rottura di un legame matrimoniale comporta conseguenze non solo sul piano psicologico ed affettivo, ma anche su quello strettamente economico e patrimoniale. Vediamo di seguito come la legge consenta, a determinate condizioni, di non dover adempiere all’obbligo di versamento dell’assegno di mantenimento a ex coniuge e figli.
Assegno di mantenimento: che cos’è secondo la legge italiana e qual è la finalità
Preliminarmente, vediamo che cosa deve intendersi per assegno di mantenimento, secondo le norme civilistiche attualmente in vigore. Con esso facciamo riferimento ad un contributo economico anche consistente, frutto di un provvedimento del giudice in sede di separazione o anche di una libera determinazione degli ex coniugi (attraverso accordo tra di loro). Tale somma di denaro, da versare con periodicità, non è immutabile nel tempo e ci sono condizioni – come vedremo tra poco – che comportano l’estinzione del correlato diritto a percepire tale quota di denaro.
Il presupposto fondamentale dell’istituto è quello di finanziare i figli e/o la parte economicamente più debole; le quali si trovano – alla fine del matrimonio – innanzi a potenziali difficoltà anche di natura economica; con esso, in pratica, è garantita la continuazione della serie di obblighi assistenziali e solidaristici tipici del matrimonio. E con ciò ripristinando il tenore di vita sussistente durante la fase matrimoniale.
Assegno di mantenimento: quando non va versato ai figli
A questo punto occorre chiarire quando l’assegno in oggetto può essere revocato. Per quanto riguarda la prole, sussiste uno specifico obbligo in capo al colui che lo versa, il quale però può venir meno. Tale dovere del genitore perdura fintanto che il figlio o i figli raggiungano l’autosufficienza economica. Ad esempio trovando un lavoro stabile o una fonte di reddito altrettanto stabile. E ciò indipendentemente dal fatto che il figlio diventi maggiorenne. La Cassazione, sul punto, ha integrato la legge, chiarendo che il genitore che non voglia più versare l’assegno al figlio maggiorenne da tempo, deve comunque provare in giudizio che la mancata autosufficienza derivi dall’inerzia o dalla negligenza dello stesso ovvero dipenda da fatto a lui imputabile. Ci si riferisce alla sentenza n. 7970 del 2013, pronunciata dalla Suprema Corte.
Assegno di mantenimento: il reddito proprio influisce?
Il diritto a percepire l’assegno di mantenimento deriva dall’impossibilità, sul piano economico, a far fronte alle spese quotidiane e a mantenere lo stesso tenore di vita matrimoniale, non sussistendo adeguati e sufficienti redditi propri (di qualsiasi tipo). La giurisprudenza ha affermato che occorre non soltanto guardare alla presenza o meno di un reddito da lavoro, ma anche occorre considerare – al fine di un eventuale esonero dall’obbligo di assegno – i redditi quali quelli derivanti da proprietà immobiliari (ad esempio canone di affitto). Non solo: i giudici hanno rilevato che è necessario considerare anche la cosiddetta “capacità di spesa” dell’ex coniuge. Pertanto la Cassazione, nella sentenza n, 24667 del 2013, ha sancito che anche le uscite, e cioè le spese, costituiscono prova di un reddito idoneo all’autosufficienza economica.
L’addebito della separazione fa perdere il diritto all’assegno di mantenimento?
Una delle ipotesi più frequenti di perdita del diritto all’assegno è quella relativa alla sentenza con cui il giudice dispone l’addebito della separazione. Le ragioni sono sempre oggettive, e dipendono da un accurato vaglio del magistrato, il quale deve avere previamente accertato che da parte del coniuge cui viene addebitata la separazione, c’è stato un comportamento contrario ai doveri che derivano dal matrimonio. Debbono però trattarsi di violazioni che, espressamente, rechino danno ai figli o rendano impossibile la continuazione della convivenza. Un esempio tipico è la violazione degli obblighi di fedeltà coniugale. Una sentenza di questo tipo comporterà la perdita del diritto all’assegno di mantenimento e i diritti di ambito successorio. Non si perde però l’obbligo di mantenimento dell’altro coniuge e dei figli.
Nozze e convivenza in rapporto con l’assegno di mantenimento
Al fine dell’eventuale venir meno dell’obbligo in oggetto, non rilevano le nuove nozze di colui che versa l’importo; bensì rilevano nuove nozze o convivenza del destinatario della somma. Infatti, laddove sia formato un nuovo nucleo familiare attraverso nuovo matrimonio o convivenza (caratterizzate da stabilità e continuità del legame), ciò determinerà la perdita del diritto al mantenimento. Come chiarito dalla Cassazione, infatti, il diritto al mantenimento decade tutte le volte che sorge una nuova famiglia (anche di fatto); in quanto quest’ultima va considerata anche con riguardo alla disponibilità di mezzi economicamente idonei ad un tenore di vita che non ha bisogno del suddetto assegno.
Assegno di mantenimento e rapporto con l’eredità
L’assegno di mantenimento, inoltre, viene meno laddove il destinatario acquisti, per diritto di matrice ereditaria, la proprietà o la comproprietà di un immobile o comunque un’eredità consistente; tale da dargli un miglioramento economico che possa garantirgli un tenore di vita analogo (o superiore) a quello avuto durante il matrimonio. Così afferma la Cassazione nella sentenza n. 932 del 2014. Viceversa, un’eredità non consistente, non esonera da detto obbligo. Il diritto all’assegno scompare anche nel caso di morte dell’altro ex coniuge. Però l’avente diritto può ottenere una parte dell’eredità proporzionale a quanto percepito a titolo di assegno di mantenimento.
L’assegno di mantenimento viene meno solo con sentenza
Resta da precisare un punto fondamentale: il diritto all’assegno è rimosso soltanto con provvedimento del giudice e non con la semplice concretizzazione dei fatti che consentono l’estinzione. La sentenza in oggetto accerterà o l’estinzione dell’obbligazione oppure avrà la funzione di omologare quanto autonomamente deciso dagli ex coniugi. Pertanto, se il coniuge obbligato smettesse spontaneamente di versare l’assegno, senza idonea sentenza, sarebbe soggetto alle sanzioni previste per il mancato rispetto dell’obbligo.
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