Sono oltre 13mila le richieste di rimborso giunte a Bpm e più di 5mila quelle arrivate a Unicredit da parte dei rispettivi clienti per la vendita di diamanti su cui sta indagando la Procura di Milano; truffa aggravata e autoriciclaggio i reati ipotizzati dai magistrati milanesi. A febbraio è stato disposto un sequestro preventivo di 700 milioni di euro a carico non solo di Bpm e Unicredit ma anche di Banca Aletti, controllata Bpm, Intesa Sanpaolo e Mps.
Truffa diamanti banche: 5 istituti coinvolti
Le due banche (indagate in base alla legge sulla responsabilità amministrativa degli enti) “segnalavano” ai propri clienti la possibilità di investire in pietre preziose attraverso una società esterna; proprio per via degli accordi stretti con quest’ultima gli istituti di credito sono finiti sotto la lente di ingrandimento della magistratura. Si tratta della Idb (intermarket Diamond Business) ormai fallita. Invece, gli altri istituti coinvolti nel caso– Mps e Intesa San Paolo – avevano un rapporto con un’altra società simile, la Dpi (Diamond Private Investment).
Truffa diamanti banche: le ipotesi dei magistrati
Qual è l’ipotesi dell’inchiesta? In pratica, gli istituti di credito incriminati avrebbero spinto alcuni dei propri clienti più o meno facoltosi – anche molti Vip (tra questi Vasco Rossi e Federica Panicucci) – ad investire in diamanti attraverso le società Idb e Dpi.
Un affare che veniva presentato in modo molto accattivante visto che si prometteva un rendimento annuo che poteva toccare il 7-8%; all’epoca gli altri tipi di investimento garantivano al massimo l’1-2%. D’altra parte, gli istituti si sarebbero garantiti un margine di guadagno molto consistente grazie ai prezzi gonfiati, rispetto ai listini internazionali, delle pietre preziose. Nel decreto del Gip si precisa come le banche, tra il 2012 e il 2016, abbiano rimpolpato in modo evidente i propri i bilanci grazie alle commissioni incassate dalla vendita di diamanti; potevano raggiungere anche il 15-18% del controvalore acquistato dal cliente.
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